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Un giudice della Corte Suprema si è schierato apertamente contro la pena di morte. Altri quattro potrebbero seguirlo. Intanto calano le esecuzioni.
Negli Stati Uniti sono state eseguite “solamente” ventotto condanne a morte nel corso del 2015. Si tratta del numero più basso degli ultimi sedici anni, il che alimenta le speranze di chi si batte per l’abolizione della pena capitale. “Il declino è evidente”, spiga un rapporto pubblicato il 16 dicembre dal Centro d’informazione sulla pena di morte (Dpic) degli Usa.
In particolare, a far ben sperare è il fatto che tutte le esecuzioni siano concentrare in soli sei Stati americani, su un totale di trentuno che ancora prevedono la pena di morte nel loro ordinamento. E solamente in tre di essi, ovvero il Texas, il Missouri e la Georgia, si concentra l’86 per cento del totale, ovvero ventiquattro casi.
Altro dato incoraggiante è quello relativo al numero di sentenze di condanna emesse dalle corti d’assise americane: esse sono state quarantanove, in calo del 33 per cento rispetto al 2014, e a livello più basso mai registrato dall’inizio degli anni Settanta. “Queste cifre non possiedono solamente un valore statistico, ma riflettono un cambiamento di mentalità sulla questione, riscontrabile in tutto il paese”, ha commentato Robert Dunham, direttore del Dpic, parlando all’agenzia Afp.
Perfino in Texas, ovvero nello stato nel quale appare più radicata la pena capitale, “le condanne hanno registrato un calo record quest’anno”, ha dichiarato Kristin Houlé, della Coalizione texana per l’abolizione della condanna a morte. Analizzando nello specifico la questione, in effetti, si può notare che, dal 2011 ad oggi, su un totale di 254 sentenze capitali, il 70 per cento risulta concentrato in sole otto contee.
Certo, va detto che una delle “leve” del cambiamento potrebbe essere legata a fattori molto più pratici che etici. In particolare, negli Stati Uniti si registra una crescente difficoltà a reperire i prodotti che vengono utilizzati per le iniezioni letali: sono sempre più numerose le industrie farmaceutiche, soprattutto europee, che si rifiutano di fornire agli Usa sostanze mortali.
Del tutto orientata ad una scelta morale e politica, invece, è stata la presa di posizione a favore dell’abolizione del giudice della Corte Suprema Stephen Breyer, che nello scorso mese di giugno aveva alimentato le speranze degli abolizionisti schierandosi apertamente dalla loro parte. È proprio sull’alta corte americana, infatti, che vengono esercitate le maggiori pressioni: vi risiedono nove membri e quattro, attualmente, sono progressisti (oltre allo stesso Breyer, anche Ruth Bader Ginsburg, Elena Kagan e Sonia Sotomayor).
La stessa Corte Suprema sospese già la pena capitale nel 1972, per poi, tuttavia, ripristinarla nel 1976. Il “piano” potrebbe essere di portare dalla parte degli abolizionisti Anthony Kennedy, conservatore moderato che sulle grandi questioni sociali ha spesso funto da ago della bilancia.
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