Diritti umani

Tutta l’acqua che manca in Siria

L’acqua in Siria è sempre più scarsa. L’emergenza umanitaria è strutturale. Servono interventi umanitari per rendere i pozzi inaccessibili. Intanto sempre più profughi lasciano il paese.

“Siamo costretti a rifornirci di acqua tre volte al giorno. Io sono elettricista ma quando torno dal lavoro, la prima cosa che faccio è quella di mettermi in fila nei punti dove posso raccogliere acqua per me e la mia famiglia”. Taher ha 35 anni, ed è originario di Al-Sakhour, il quartiere di Aleppo Est distrutto dai bombardamenti. Vive dall’inizio della guerra con un figlio di 13 anni, Omar, e tre figlie piccole presso il campo profughi di Al-Fourkan.

Ogni sera massaggia le articolazioni di Omar, che soffre di reumatismi dovuti al quotidiano trasporto di pesanti contenitori di acqua e all’umidità. “Sono stanchissimo, non ce la faccio più a raccogliere acqua e portarla nella nostra stanza al sesto piano“, spiega Omar. “Voglio tornare a casa. Ricordo ancora quando potevo aprire il rubinetto senza preoccupazioni”.

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Bambini ad una delle fonti di Aleppo © GVC

Più di 10 milioni di siriani hanno abbandonato le loro case

Nel dramma della crisi siriana la lotta per l’acqua sta diventando un elemento centrale per la continua fuga di profughi dalla regione. Secondo l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unchr), ci sono 6,6 milioni di profughi interni e oltre 5,1 milioni di siriani che hanno lasciato il paese sconvolto dalla peggiore guerra civile degli ultimi anni per raggiungere Libano, Turchia o l’Europa.

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Nella lotta per il controllo del territorio tra le milizie anti-governative, movimenti islamici come lo Stato Islamico (Isis) e al-Nusra e l’esercito di Bashar al-Assad, l’acqua è diventata il primo obiettivo infrastrutturale militare. Secondo Noosheen Mogadam, analista del Norwegian refugee council, “la distruzione delle infrastrutture idriche e i frequenti black-out hanno ridotto del 50 per cento l’accesso ad acqua non contaminata”. Decine di infrastrutture sono diventate target, sia per ribelli che per forze governative.

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La curva basata sui dati dell’Unhcr sui profughi

In Siria il water grabbing ha colpito centinaia di migliaia di persone

Un atto di water grabbing che ha lasciato centinaia di migliaia di persone a secco, forzandole ad abbandonare il terreno. Un atto di violazione del diritto internazionale, denuncia la ong italiana GVC in Medio Oriente, una delle più attive nella regione sulla sicurezza idrica. “Questo è un crimine di guerra, poiché si colpisce direttamente la sopravvivenza della popolazione civile”. Un lavoro che toccherà al giudice speciale francese Catherine Marchi-Uhel, nominata dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres per raccogliere evidenze su tutti i crimini di guerra commessi per imbastire un processo internazionale per violazione dei diritti umani.

Ai siriani rimane da affrontare la dura quotidianità della scarsità d’acqua. La città più colpita è Aleppo, in particolare nei quartieri orientali, dove le infrastrutture idriche sono pesantemente danneggiate, a causa degli scontri del 2016 per la riconquista della città sotto il controllo dell’Isis e delle forze anti-governative. Mentre procedono i negoziati di Astana per fermare il conflitto, la popolazione sta lentamente ritornando alle proprie abitazioni, almeno quelle escluse dalla devastazione. Organizzazioni umanitarie, come il GVC impegnata in diversi progetti, stanno facendo il possibile per la riabilitazione dei pozzi, nella creazione di punti per la distribuzione e nel controllo della qualità dell’acqua destinata alla popolazione.

Nell’area metropolitana di Aleppo sono oltre 686mila persone che hanno accesso limitato all’acqua per igiene e sostentamento di base. La diarrea dilaga, mietendo decine di vittime. La scarsità d’acqua ha messo in ginocchio anche l’allevamento di bestiame (ovini, bovini e pollame), poiché le risorse idriche non sono solo necessarie per la popolazione ma anche per la ripresa della pastorizia e delle attività produttive.

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Una donna siriana col suo bimbo, profughi nella valle della Bekaa, in Libano © Juan Martin Baigorria/GVC

Anche nei paesi limitrofi, in particolare il Libano, che ospita 1,8 milioni di profughi, la situazione peggiora di mese in mese, a causa del crescente stress idrico e di precipitazioni sempre più scarse. Una situazione che preoccupa l’Unhcr. Così come la siccità prolungata nel 2011, legata ai cambiamenti climatici, ha accelerato l’inizio della guerra civile, ora la carenza di infrastrutture legata alle condizioni ambientali, potrebbe vanificare il processo di pace e l’inizio, lentissimo, della ricostruzione del paese.

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