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La guerra in Siria dura ormai da sei anni: ecco le dieci date spartiacque di un conflitto che ha provocato 321mila morti e quasi cinque milioni di profughi.
La guerra in Siria è cominciata sei anni fa. In questi 72 mesi, ha provocato – secondo le informazioni riferite dall’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo, 321mila morti e 145mila dispersi. L’organizzazione non governativa Médicins du monde ha aggiunto che sono almeno 12,8 milioni i cittadini siriani che necessitano oggi di assistenza sanitaria: una cifra in netta crescita rispetto ad un anno fa, quando non si superavano gli 11,5 milioni.
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“A partire dalla caduta di Aleppo, nel dicembre scorso – ha accusato Françoise Sivignon, presidente della ong, parlando al quotidiano francese Le Monde – abbiamo l’impressione che la comunità internazionale si sia dimenticata della Siria. Eppure qui il dramma continua”. La stessa associazione ha ricordato che sono stati registrati 338 attacchi a strutture sanitarie nel solo 2016, che hanno causato tra l’altro la morte di 53 pazienti e 15 membri del personale medico.
A tutto ciò, si aggiunge la crisi dei profughi provenienti dalla nazione mediorientale: secondo le cifre comunicate a febbraio dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati, il totale di persone costrette a fuggire dalla loro terra dall’inizio della guerra è pari a 4,9 milioni. La maggior parte di loro ha scelto di varcare i confini della Turchia (ben 2,9 milioni), mentre 1,5 milioni hanno cercato riparto in Libano e 630mila in Giordania (ma quest’ultima parla di 1,4 milioni). Altri ancora si sono rifugiati in Iraq e in Egitto. Lo stesso Unhcr stima che il 90 per cento di questa immensa massa di uomini, donne e bambini, viva ormai in condizioni di povertà. Nonostante il tentativo di aiuto da parte di numerose organizzazioni internazionali, così come di gruppi di volontari locali, tra i quali i White Helmets (Caschi bianchi): circa tremila volontari che rischiando la vita hanno soccorso per mesi e mesi le vittime dei bombardamenti.
Ecco le principali tappe che hanno segnato il conflitto dal 2011 ad oggi.
Il 15 marzo del 2011 un movimento di protesta si fa strada in Siria, paese governato da 40 anni dalla famiglia Assad. Le prime manifestazioni organizzate nella capitale Damasco per “una Siria senza dittatura” vengono represse con violenza. Ma nel sud della nazione la primavera araba non demorde, nonostante i circa cento morti registrati durante i cortei. Un mese dopo, la contestazione diventa più radicale. A luglio, un colonnello rifugiato in Turchia annuncia la creazione dell’Esercito siriano libero, composto da civili e disertori. Alcuni gruppi islamisti si uniscono ai ribelli.
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Dopo una vittoria dell’esercito regolare, che nel marzo del 2012 ha ripreso il controllo del quartiere ribelle di Baba Amr nella città di Homs, il 17 luglio dello stesso anno i ribelli lanciano l’assalto a Damasco. Il governo mantiene il controllo città, ma alcune zone periferiche passano nelle mani degli oppositori.
A partire dall’aprile del 2013 Hassan Nasrallah, segretario generale dell’organizzazione paramilitare e partito politico sciita libanese Hezbollah fa il suo ingresso nella guerra in Siria. La formazione milita a fianco del governo di Assad ed è alleata dell’Iran, a sua volta principale sostenitore sciita di Damasco.
Il 21 agosto 2013 viene sferrato un attacco con armi chimiche contro due bastioni ribelli alla periferia di Damasco. Secondo gli Stati Uniti, l’operazione ha provocato non meno di 1.429 vittime, tra le quali 426 bambini. Washington minaccia di lanciare l’aviazione contro Assad, ma un accordo raggiunto in extremis con la Russia (sostenitrice di Damasco) sulla distruzione dell’arsenale chimico siriano evita i bombardamenti.
Nel corso del 2014 fanno la loro apparizione nello scenario bellico siriano i miliziani dello Stato Islamico, che invadono il nord del paese, prendendo il controllo di un territorio particolarmente vasto. Racca diventa la loro roccaforte, grazie anche al lavoro svolto in precedenza da un altro gruppo jihadista, il Fronte al-Nosra (ribattezzato poi Fateh al-Cham).
Nel mese di settembre del 2014 l’allora presidente americano Barack Obama organizza una coalizione internazionale il cui obiettivo dichiarato è quello di combattere l’Isis. I combattenti curdi, che dal 2013 hanno instaurato un territorio autonomo nelle zone settentrionali della Siria, grazie ai bombardamenti degli alleati riescono a strappare agli islamisti alcuni centri di particolare importanza, tra i quali Kobane, liberata nel 2015.
Un anno più tardi, nel settembre 2015, è il momento dell’interventismo russo. Mosca avvia una campagna di bombardamenti aerei affermando di voler colpire i gruppi terroristi. Ovvero non solo l’Isis, ma anche i ribelli. I raid russi saranno determinanti per la riconquista di alcune zone-chiave del paese da parte di Assad.
Nell’agosto dello scorso anno, la Turchia entra in gioco in modo diretto. Il governo di Ankara sostiene i ribelli e lancia un’operazione militare a partire dalla propria frontiera, colpendo i miliziani Isis, ma anche i combattenti curdi.
Il 22 dicembre 2016, dopo un assedio lunghissimo e particolarmente sanguinoso, l’esercito di Assad riesce a strappare i quartieri orientali della città di Aleppo ai ribelli. Un accordo siglato da Iran, Russia e Turchia permette di evacuare (non senza innumerevoli difficoltà) i civili e i combattenti ancora presenti nel centro urbano.
Un accordo di pace siglato alla fine di dicembre tra ribelli e governo di Damasco (assieme ai rispettivi sostenitori ma senza gli Stati Uniti) permette di avviare una fase di parziale tregua. Nel nord del paese si continua tuttavia a combattere contro l’Isis, in particolare nella città di Racca, feudo degli islamisti, che dal novembre del 2016 è assediata a una coalizione arabo-curda sostenuta da Washington. La Turchia si oppone però al fatto che la città, una volta liberata, venga affidata alle forze curde, che Ankara considera terroriste alla stregua dell’Isis.
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