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Due studi pubblicati da Nature confermano il rallentamento della corrente del Golfo, che garantisce un clima temperato nell’Atlantico settentrionale.
La circolazione delle correnti oceaniche nell’Atlantico, fondamentale per regolare il clima a livello planetario, ha subito una decelarazione storica. Essa è infatti ai livelli più bassi degli ultimi 1.600 anni: un fenomeno dovuto, almeno in parte, al riscaldamento globale e ai cambiamenti climatici. A spiegarlo sono due studi pubblicati dalla rivista scientifica Nature, che confermano la teoria di un rallentamento cominciato moltissimo tempo fa.
In particolare, i risultati indicano che le correnti sono state relativamente stabili tra l’anno 400 e il 1850. Poi, proprio quando è cominciata l’era industriale, il flusso ha cominciato a diminuire di intensità. Tale calo della velocità delle correnti note con la sigla Amoc (Atlantic meridional overturning circulation, ovvero Capovolgimento meridionale della circolazione atlantica) è infatti una conseguenza dello scioglimento della calotta artica e dei ghiacciai montani di tutto il mondo, che provocano a loro volta il riversamento di acqua dolce nei mari, soprattutto nell’Atlantico settentrionale. In questo modo – ha spiegato all’agenzia Afp David Thornalley, dello University College di Londra “la corrente Amoc si indebolisce poiché il mescolamento impedisce all’acqua di diventare sufficientemente densa da colare nei fondali”.
New research led by UC London and WHOI provides evidence that a key cog in the global #ocean circulation system hasn’t been running at peak strength since the mid-1800s and is currently at its weakest point in the past 1,600 years. @NSF_GEO #NSFfunded https://t.co/SiAylgC0WH pic.twitter.com/SSlcTHXgjb
— WHOI (@WHOI) 11 aprile 2018
La circolazione permanente oceanica, infatti, consiste in una risalita delle acque calde nelle zone tropicali dell’Atlantico verso Nord, grazie alla corrente del Golfo. Il che garantisce un clima temperato all’intera Europa occidentale (e non solo). Una volta arrivata nelle zone più settentrionali dell’oceano, l’acqua si raffredda progressivamente, diventa più densa e pesante, scende nei fondali e riparte verso Sud.
Secondo la Woods Hole Oceanographic Institution, che ha contribuito agli studi sul fenomeno, “se il meccanismo continuerà a rallentare, ciò potrebbe perturbare le condizioni meteorologiche dagli Stati Uniti all’Europa, fino al Sahel, nonché accelerare il processo di innalzamento del livello dei mari, soprattutto sulla costa orientale americana”. Ma non si tratta della sola conseguenza del cambiamento di ritmo dell’Amoc: il rischio è che sia colpita anche la capacità degli oceani di immagazzinare CO2, ovvero il principale gas responsabile del riscaldamento globale. La cui concentrazione nell’atmosfera potrebbe così crescere ulteriormente.
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