L’amministrazione Usa ha sospeso le domande per l’immigrazione delle persone provenienti da 19 paesi. Nel frattempo vanno avanti le retate nelle città.
Le grandi manifestazioni e gli scioperi hanno convinto il governo di Hong Kong a procrastinare l’esame di una controversa legge sull’estradizione.
Alla fine, almeno per ora, sembra aver prevalso la volontà popolare. Le manifestazioni oceaniche organizzate domenica 9 giugno ad Hong Kong, con l’obiettivo di bloccare una norma che consentirebbe l’estradizione verso la Cina, hanno convinto il governo a sospendere l’approvazione della nuova legge.
https://www.youtube.com/watch?v=2n4DDWog9lg
Le autorità della regione semi-autonoma hanno infatti annunciato nella mattinata di mercoledì 12 di aver procrastinato l’esame del testo. Il presidente del Consiglio legislativo (il Parlamento di Hong Kong) ha reso noto in un comunicato che la riunione nel corso della quale i deputati avrebbero dovuto votare la legge in seconda lettura è stata spostata “a data da destinarsi”.
Hong Kong protest: debate on extradition bill delayed after tens of thousands of people protest – live https://t.co/4MbfOb3way
— The Guardian (@guardian) 12 giugno 2019
Una decisione accolta con soddisfazione da parte dei detrattori della norma, che porterebbe di fatto gli abitanti di Hong Kong a poter essere sottoposti al sistema giudiziario cinese, considerato troppo politicizzato. Il timore è legato soprattutto ai rischi che potrebbero correre le persone che hanno manifestato in passato la propria ostilità nei confronti del governo di Pechino. Per questa ragione, anche una serie di avvocati e magistrati di Hong Kong, pur coperti dall’anonimato, hanno deciso di schierarsi contro il progetto.
Hong Kong is calling for a citywide strike tomo to protest against the extradition bill 2nd reading. This is, again, the first in HK since 30 yrs ago when Tiananmen crackdown happened. The fear of the end of One Country, Two Systems is imminent #NoExtraditionToChina pic.twitter.com/osxVEDdsP0
— Vivienne Chow (@VivienneChow) 11 giugno 2019
Sul destino dell’iter legislativo, tuttavia, non è detta l’ultima parola. Carrie Lam, che guida il governo locale, ha continuato infatti ad escludere l’ipotesi di ritirare la legge. Anzi, ha ricordato che essa permetterebbe di colmare un vuoto normativo. E ha fatto capire che se saranno organizzate “azioni radicali” da parte della popolazione, ad esse corrisponderà una reazione da parte delle autorità.
Ma la protesta sul tema dell’estradizione proviene in realtà da un malcontento più ampio. Secondo l’accordo stipulato tra il Regno Unito e la Cina nel 1984, che ha posto le basi del trasferimento di sovranità effettuato nel 1997 a favore di Pechino, l’ex colonia britannica dovrebbe mantenere la propria semi-autonomia per 50 anni. Fino cioè al 2047.
#Breaking
8am in #HongKong – hundreds of not thousands of protesters occupied Lung Wo Road outside Legco complex, 3 hours before the second reading of the controversial #ExtraditionLaw. Massive strike going on today. pic.twitter.com/TOdlkrJZyP— Phoebe Kong 江穎怡 (@phoebe_kongwy) 12 giugno 2019
Tuttavia, buona parte della popolazione denuncia da tempo quelle che considera eccessive ingerenze da parte del governo cinese. E il fatto che il principio “un paese, due sistemi” non sarebbe più rispettato. Per questo numerose imprese e negozi hanno annunciato la loro chiusura, nella giornata di mercoledì, in segno di solidarietà con chi si oppone alla norma sull’estradizione.
Allo stesso modo, i principali sindacati studenteschi hanno invitato a non presentarsi nelle scuole e nelle università. Gli autobus circoleranno a velocità ridotta. E anche insegnanti e infermieri hanno annunciato agitazioni. Il tutto in un territorio nel quale gli scioperi sono piuttosto rari. Occorrerà verificare se il governo Lam cederà o meno.
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