I cambiamenti climatici sembrano un argomento noioso, distante dalle persone e soprattutto difficile da capire. Troppo tecnico per essere spiegato nelle scuole, figuriamoci per entrare a far parte delle agende politiche dei governi nazionali. E poi la comunità scientifica non è unita nel definire le cause e gli effetti del riscaldamento globale. 1992, la nascita delle Cop 1997, la Cop 3 2005, il Protocollo di Kyoto entra in vigore 2007, la Cop 13 2009, il fallimento della Cop 15 di Copenaghen 2011-2012, Cop 17 e Cop 18 2015-, la Cop 21 e oltre I Don’t Believe in Global Warming, Londra, 2011 Leggendo questa serie di falsità è difficile trattenere le risate per quanto sono assurde. O, al contrario, risentirsi (nel caso foste caratteri particolarmente sensibili). Eppure sono alcuni dei luoghi comuni su cui si sono fondate – e si fondano tuttora – le bizzarre tesi di coloro che in un quarto di secolo, da quando è nata la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici nel 1992, hanno cercato di emarginare o di screditare una delle minacce e delle sfide più importanti del secolo che stiamo vivendo. Per usare le parole dell’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama: “I cambiamenti climatici sono una minaccia esistenziale per il mondo intero se non si fa niente a riguardo”. il settore dell’efficienza energetica ha creato 2,2 milioni di posti di lavoro, esattamente il doppio di quelli creati dal settore fossile. Photo credit: SAUL LOEB/AFP/Getty Images Nel momento in cui sembravano lontani gli anni in cui l’allora presidente George W. Bush (2001) decideva di ribaltare la decisione della precedente amministrazione (1998) guidata da Bill Clinton e dal vicepresidente Al Gore (che poi ha fatto dei cambiamenti climatici la sua vita, al punto da vincere un Oscar e un Nobel) uscendo e ammazzando di fatto il Protocollo di Kyoto, il primo documento internazionale che ha imposto un obbligo di riduzione delle emissioni di CO2 ai paesi più ricchi e più responsabili, ecco che la storia si ripete mettendo in scena un copione già visto. L’attuale presidente degli Stati Uniti Donald Trump, infatti, sta facendo carte false (è proprio il caso di dirlo) per ribaltare e ridicolizzare l’Accordo di Parigi firmato dall’intera comunità internazionale nel 2015 ed entrato in vigore l’anno successivo. È il primo trattato globale che ha visto tutti i paesi – industrializzati e in via di sviluppo – finalmente uniti per far fronte comune contro l’aumento della temperatura media globale e limitarlo ben al di sotto dei due gradi centigradi. Leonardo DiCaprio parla alla cerimonia dell’Accordo di Parigi firmato il 22 aprile da 171 paesi presso la sede delle Nazioni Unite a New York. (Jemal Countess/Getty Images) Non sembra un caso se persino l’attore nonché attivista ambientale Leonardo DiCaprio ha deciso di alzare la voce per chiedere più “Azione!” per contrastare la nuova politica negazionista messa in atto da Trump (2017). E non stiamo parlando dell’inizio delle riprese di una scena di un film – anche se DiCaprio ha fatto pure quello con il documentario Before the flood (Punto di non ritorno) – ma della volontà di fare qualcosa in prima persona, come ha dimostrato scendendo per le strade di Washington fianco a fianco, mano nella mano, insieme ai nativi americani le cui terre sono minacciate da attività di sfruttamento della terra, come il fracking (la fratturazione idraulica), alla ricerca di quei “sporchi, brutti e cattivi” combustibili fossili. Ma, come in tutte le storie che si rispettino, per capirne di più bisogna fare un passo indietro e sapere come si è arrivati a questo punto. Per arrivare consapevoli all’appuntamento di fine anno con la Cop 23 di Bonn che quest’anno vedrà la presidenza in capo alle isole Fiji. Una decisione tutt’altro che simbolica visto che gli stati isola stanno sparendo, sommersi dagli oceani per l’innalzamento del livello dei mari causato dall’aumento delle temperature medie globali che fa sciogliere i poli. Cronologia storica delle Cop, le conferenze sul clima 1992, la nascita delle Cop Rio de Janeiro, Brasile, 1992. La storia delle Cop (Conference of the parties), le conferenze sul clima dei paesi che hanno aderito alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations framework convention on climate change o Unfccc) parte da qui. Sono gli anni Novanta e la discussione su come limitare le emissioni di gas ad effetto serra (il più comune è la CO2) si fa subito accesa con una netta divisione tra paesi industrializzati (i maggiori responsabili delle emissioni nel corso degli anni) e paesi in via di sviluppo, quelli che soffrono di più le conseguenze del riscaldamento globale. Anche se oggi, alcuni di questi sono diventati anche responsabili di una larga fetta delle emissioni correnti. Parliamo di Cina, India e Brasile. 1997, la Cop 3 L’11 dicembre 1997, nel corso della terza conferenza sul clima (Cop 3), viene adottato il Protocollo di Kyoto alla Convenzione. Per la prima volta viene imposto un obbligo di riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera ai paesi più ricchi e più responsabili. La riduzione globale media deve essere pari al 5 per cento entro il periodo 2008-2012, rispetto ai livelli che si sono registrati del 1990. 2005, il Protocollo di Kyoto entra in vigore Il 16 febbraio 2005, sette anni dopo la firma, il Protocollo entra in vigore grazie alla ratifica della Russia, fondamentale dopo l’addio degli Stati Uniti. 2007, la Cop 13 Bali, Indonesia, inverno 2007. Durante la Cop 13 prende vita un piano d’azione finalizzato a raggiungere un accordo globale. Il suo scopo avrebbe dovuto comprendere un aumento degli obblighi di riduzione della CO2 dei paesi ricchi e l’inclusione delle economie emergenti (come Cina, India e Brasile), finora senza alcun vincolo perché considerate in via di sviluppo, per bloccare la crescita esponenziale delle loro emissioni, stabilizzandole. Secondo le previsioni, il nuovo trattato avrebbe dovuto essere adottato alla Cop 15 di Copenaghen, in Danimarca. 2009, il fallimento della Cop 15 di Copenaghen Ecco spiegato il motivo per cui l’attenzione riservata dai mezzi d’informazione di tutto il mondo alla conferenza (Cop 15) del 2009 è stata altissima. Peccato che l’esito sia stato pessimo, quasi tragico. Un mero accordo politico senza alcun vincolo o obiettivo concreto che aveva come unico passaggio degno di nota: “the increase in global temperature should be below 2 degrees Celsius, on the basis of equity and in the context of sustainable development”, ovvero contenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei due gradi. 2011-2012, Cop 17 e Cop 18 Cosa succede nei sette anni successivi? Poco o nulla. La Cop 17 del 2011 ci riprova, fissando al 2015 la nuova data di scadenza per l’adozione di un accordo globale per la riduzione della CO2 che sostituisca e migliori il Protocollo di Kyoto, ormai consegnato ai libri di storia, nonostante venga (alla Cop 18 di Doha, 2012) prolungato al 2020 solo per non creare un vuoto, nel rispetto di tutti quei governi che si stanno impegnando seriamente, come l’Unione europea. Perché il 2020? Perché è la data in cui i delegati sperano che entri in vigore il futuro accordo. Il fatto più rilevante, invece, è la creazione del Green climate fund (Fondo verde per il clima) che ha come obiettivo quello di sostenere economicamente i paesi in via di sviluppo ad adattarsi ai cambiamenti del clima attraverso progetti e piani nazionali di medio periodo. Il fondo avrebbe dovuto garantire 100 miliardi di dollari (circa 91 miliardi di euro) l’anno fino al 2020. L’Unione europea è oggi il maggior finanziatore del fondo con 14,5 miliardi di euro già erogati al 2014. 2015-, La Cop 21 e oltre Il 2015, finalmente. Dal 30 novembre all’11 dicembre si tiene la Cop 21. La conferenza sul clima di Parigi, in Francia, dà vita a un accordo globale effettivamente storico per contrastare i cambiamenti climatici. 196 paesi, quasi la totalità della comunità internazionale, hanno deciso di impegnarsi per mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 gradi centigradi, dopo aver fornito promesse volontarie di riduzione che, però, non sono ancora sufficienti per rispettare la mission. Ora, dunque, è il tempo dell’azione. L’Accordo di Parigi è entrato ufficialmente in vigore il 4 novembre 2016, la nuova data che viene celebrata ogni anno da coloro che vogliono garantire un futuro alle generazioni che verranno. L’ultima Cop, la ventitreesima, si è tenuta a Bonn, in Germania, sotto la presidenza delle isole Figi. Il clima che si è respirato è stato di dialogo misto a speranza. A Bonn si è tentato di proseguire con l’attuazione e il miglioramento delle promesse di riduzione della CO2. Un percorso per nulla semplice, ma di fatto inarrestabile visto che chi, giorno dopo giorno, si scontra con la realtà sta agendo per cambiare le cose e dare un’opportunità alle popolazioni in pericolo. Dalle città alle imprese locali, dal terzo settore alle multinazionali. La prossima scadenza importante è quella del 2020 quando, forse in Italia, si partirà con il processo di verifica dell’Accordo di Parigi e si capirà se gli Stati Uniti saranno davvero usciti dal trattato.