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Paradisi fiscali, anche cinque paesi europei nella lista nera Oxfam

In attesa di quella ufficiale dell’Unione europea, la ong Oxfam pubblica la propria lista nera dei paradisi fiscali. Che include cinque nazioni europee.

La Commissione europea pubblicherà il prossimo 5 dicembre la propria lista nera dei paradisi fiscali. Ovvero di tutte quelle giurisdizioni che offrono alle imprese la possibilità di pagare tasse bassissime o nulle e, molto spesso, la garanzia di un ampio riserbo sulle transazioni effettuate. In attesa che l’elenco ufficiale dell’organismo esecutivo di Bruxelles venga svelato, l’organizzazione non governativa Oxfam ha pubblicato il 28 novembre la propria “blacklist”.

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Le Isole Cayman fanno parte della lista dei paradisi fiscali stilata da Oxfam ©David Rogers/Getty Images

Nella lista nera 35 nazioni, compresa la Svizzera

Secondo l’associazione, a dover essere considerati paradisi fiscali sono 35 nazioni. Tra di esse figurano giurisdizioni storicamente considerate come tali: dalle Isole Marshall alle Cayman, dalle Bahamas a Singapore, passando per le Bermuda. Ma sono presenti anche numerosi territori europei, come Albania, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Macedonia, Serbia, Groenlandia e la stessa Svizzera. La lista nomina inoltre alcuni territori d’oltremare del Regno Unito: è il caso delle British Virgin Islands, dell’Isola di Man e di Gibiliterra (oltre alle citate Cayman e Bermuda).

Ancora più significativo è il fatto che Oxfam sottolinei come anche quattro Paesi membri dell’Ue possano essere considerati paradisi fiscali: “Se l’Europa decidesse di applicare anche al proprio interno i criteri utilizzati per individuare i territori esteri – spiega la ong – allora nella lista nera dovrebbero essere inseriti l’Irlanda, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e Malta”.

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Una manifestazione organizzata a Londra dall’associazione Christian Aid contro le pratiche di evasione fiscale ©Peter Macdiarmid/Getty Images

Bruxelles ha in ogni caso già fatto sapere che nessun paese membro dell’Ue farà parte dell’elenco. Neppure la Svizzera dovrebbe figurare. “Il nostro rapporto stila una lista ‘reale’ dei paradisi fiscali – ha spiegato Aurore Chardonnet, responsabile della campagna sulla giustizia fiscale di Oxfam in Europa -. Quella cioè che dovrebbe essere pubblicata se si applicassero tutti i criteri senza cedere alle pressioni politiche. Tuttavia, la mancanza di trasparenza sui metodi di elaborazione dell’elenco non consentirà ai cittadini di comprendere e salverà alcune nazioni”.

Leggi anche: Perché la lotta ai paradisi fiscali è una questione di civiltà

“Sui paradisi fiscali l’Unione europea è ad un bivio”

“Se l’Europa intende davvero porre fine agli scandali fiscali come quelli recenti legati ai Paradise Papers, ai Panama Papers e ai Lux Leaks, deve agire in modo rigoroso, obiettivo e coerente”, ha osservato l’attivista. Aggiungendo come ormai l’Ue sia ad un bivio: “O si decide di mettere un punto agli effetti negativi dei paradisi fiscali sui paesi in via di sviluppo e su quelli della stessa Unione europea, oppure si lascia carta bianca agli evasori”. Il rapporto di Oxfam sottolinea infatti che i profitti realizzati nei paradisi fiscali risultano “smisurati” rispetto alle attività economiche di tali territori. Basti pensare che alle Bermuda, dove ha sede la Appleby, società al centro dello scandalo dei Paradise Papers, il giro d’affari attirato risulta pari a 4,5 volte l’interno prodotto interno lordo del paese.

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Secondo l’Oxfam l’Europa deve smetterla di privilegiare gli interessi di certe giurisdizioni e di alcune multinazionali rispetto a quelli dei cittadini ©Mike Ehrmann/Getty Images

“Le multinazionali ricorrono spesso a dei prestiti artificiali per trasferire i loro ricavi, sotto forma di pagamento di interessi”, ha spiegato l’associazione. Proprio tale sistema “rappresenta il 73 per cento del pil delle Isole Cayman, il 40 per cento di quello delle Bermuda e il 25 per cento di quello del Lussemburgo”. “I paradisi fiscali permettono di effettuare evasioni considerevoli e privano le casse pubbliche di centinaia di miliardi di dollari – ha concluso Chardonnet -. Il che alimenta la povertà e le disuguaglianze. È ora che gli interessi dei cittadini vengano considerati più importanti rispetto a quelli delle aziende e di alcune nazioni”.

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