Algeri, città aperta

Il racconto delle manifestazioni dalle strade e dalle piazze della capitale algerina prima e dopo le dimissioni dell’ormai ex presidente Bouteflika. Le voci di studenti, pensionati, disoccupati e professionisti che lottano per un Paese diverso.

È un respiro profondo. Algeri riempie d’aria i polmoni. Nelle strade e nelle piazze della capitale nordafricana risuonano i cori, gli slogan, le canzoni di un movimento. Ritmici, cadenzati e all’unisono, i polmoni sputano l’aria ingerita in 28 anni. Metaforicamente trattenuta dall’11 gennaio 1992, ovvero la data del golpe dell’esercito, avvenuto in seguito alle elezioni del dicembre dell’anno precedente che avevano visto imporsi al primo turno il Front islamique du salut (Fis). L’inizio di uno dei periodi più oscuri per il Paese. Il profilo della baia domina il lungo mare ormai preda del parcheggio selvaggio. È venerdì, il muezzin ha già chiamato i fedeli alla preghiera, ora è il momento della protesta. 

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Le manifestazioni pacifiche degli algerini

Il raccordo nord di Algeri è invaso da bandiere verdi e bianche. Uomini, donne, bambini, anziani e famiglie: la folla è attratta in direzione del centro storico della città. Verso i luoghi simbolo delle manifestazioni. La place de la Grande poste e place Maurice Audin, dove tutto è iniziato, sono irraggiungibili. Una volta nella folla, si viene trasportati dalla corrente. È un ritmo colorato e gioioso.

È lo spirito dell’Algeria. Un paese che da più di sette settimane è testimone di un punto di non ritorno. Le manifestazioni pacifiche si sono diffuse in tutte le provincie. Da Orano, passando per lo Chlef e poi per la Cabilia, fino a Costantina, l’Algeria si è messa a camminare, riappropriandosi dei propri spazi pubblici. Ed è stato un movimento fisico e mentale: sfidando il regime e allo stesso tempo sotterrando i fantasmi di sangue del passato.

La richiesta è una, almeno negli slogan e nelle parole dei partecipanti: un cambio radicale delle élite politiche e dei legami familiari che governano la nazione. E sebbene non sia la prima volta che gli algerini scendono in piazza – proteste erano già esplose nel 2011 e nel 2014 – ora si sono ripresentati con una maturità e una forza ancora più esplosiva. Dietro alla massa ci sono le rivendicazioni storiche. Ragioni che affondano le radici nella storia politica, civile ed economica del paese. Ed è così che disoccupati e avvocati, insegnanti e studenti, operai e commercianti, sfilano insieme. 

“L’Algeria è il nostro paese, non il loro”

“Noi siamo il futuro dell’Algeria”: il martedì è il giorno degli studenti, Aicha ha 22 anni e studia medicina. “Siamo qua per dire che siamo stanchi. Perché l’Algeria è il nostro paese, non il loro”. La mattina presto un piccolo gruppo di universitari, circa 30 ragazzi, si ritrova su una scalinata del centro. Aspettano gli altri comitati. “In queste settimane, ancor prima che iniziassero le proteste, abbiamo cominciato ad auto organizzarci”. Axel studia ad Algeri ed è uno dei molti promotori delle marce. “A differenza del passato abbiamo puntato sul dialogo, unendo le università e creando un movimento che rispondesse come fronte unico”. 

Il giorno precedente, in una stanza di un palazzo dell’area di Flissa, i ragazzi del comitato hanno organizzato gli striscioni. Studenti e studentesse si sono riuniti nei locali prestati da un’altra associazione, gestendo i post su Facebook, gli eventi sui social e gli inviti. “Gli slogan, i cori, i canti, sono anch’essi frutto di un lavoro collettivo”, riprende Axel, aggiungendo: “È una sfida non solo al vertice, ma anche allo stesso mondo universitario che frequentiamo e viviamo. Nelle facoltà non sono infatti autorizzate organizzazioni non allineate con il regime. Noi chiediamo che tutto questo cambi e che la nostra voce venga rispettata e lasciata libera”. 

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Due giovani ragazze dipingono un murales non lontano dall’Università di Algeri © Marco Simoncelli

Una rivoluzione

I trenta ragazzi delle scalinate di Algeri si muovono. Davanti all’università di medicina li aspettano un altro centinaio di studenti. Il corteo avanza. Al primo angolo la massa conta circa 300 persone. La piazza de la Grande poste accoglie i cori studiati il giorno precedente. Qua, dalle vie circostanti, altri si aggiungono. Ora il corteo conta migliaia di ragazzi. “Vogliamo che questo paese sia bello come potrebbe essere”, afferma una ragazza che si fa chiamare Penny, ha 21 anni e indossa una bandiera algerina. “Abbiamo avuto una storia di sangue e violenza, ne abbiamo avuto abbastanza e adesso vogliamo vivere. Vogliamo finalmente vivere e avere il potere che ci spetta”. Il tunnel dell’università si trasforma in una bolgia. Il rimbombo dei canti abbraccia e carica i manifestanti. “Per me questa è una rivoluzione e onestamente poter vivere questo momento è un dono di Dio”, conclude la 21enne. 

Le dimissioni di Bouteflika

È ormai sera e nella redazione di el Watan, uno dei maggiori giornali di opposizione, si prepara la prima pagina del giorno seguente. Saad Benkhelif è il vignettista. Sarà lui a dipingere, con ironia, l’apertura. “Noi fumettisti algerini abbiamo la fortuna di essere nati in un paese con molti tabù”. Saad è un fisico teorico, ma all’età di 27 anni ha scoperto la sua passione per le vignette. “C’è il sesso, la religione, le donne… e appena superiamo la linea rossa, facciamo ridere”. Ha ormai finito lo schizzo, quando la notizia delle dimissioni dell’82enne ormai ex presidente Bouteflika irrompe nella stanza. “Le dimissioni non sono che l’inizio. Se ne deve andare tutto il sistema, la corruzione e gli stessi vizi istaurati dal clan Bouteflika”, commenta Saad.

La notizia rimbalza nelle case e nei caffè di Algeri. L’entusiasmo contagia i quartieri. Place Maurice Audin è il punto di ritrovo. I clacson delle auto e dei motorini riempiono il normale silenzio della notte. La città che durante le ore notturne viveva la sindrome del coprifuoco, mutuata dall’epoca del terrore, si riprende anche questo spazio. “Questo resta nella storia. Resta nella storia per mio figlio”: in piazza ci sono molte famiglie, il figlio di Ahmed guarda l’entusiasmo della folla dalle spalle del padre. “Ciò che è successo oggi è per l’avvenire di mio figlio”. La polizia in tenuta antisommossa guarda attenta l’evoluzione dei festeggiamenti, bloccando la strada che sale al palazzo presidenziale. Ma stasera è per la gioia, e la violenza, come dimostrato durante le altre sette settimane, tranne che in pochissimi casi, non fa parte del movimento.  

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Un padre abbraccia suo figlio durante i festeggiamenti in place Maurice Audin ad Algeri © Marco Simoncelli

L’Algeria di domani è un punto interrogativo

La mattina seguente Algeri si sveglia lentamente. La sbornia della nottata precedente è già digerita. Davanti agli strilloni delle edicole si raggruppano anziani e lavoratori. “Dopo vent’anni è ora che una nuova generazione prenda il potere” – è il commento di un pensionato –. “Questa classe dirigente è anziana e superata”. Sul tema si apre un dibattito, e lo spiazzo davanti l’edicola diviene un piccolo parlamento. “Erano anni che aspettavamo questo momento. Siamo molto felici”, fa eco un nonno con il nipote mano nella mano. “Non so coso potrà accadere, ma noi attendiamo, attenti alle evoluzioni. Abbiamo ormai dimostrato di sapere e poter difendere i nostri diritti”. Anche una madre si aggiunge alla folla: “Adesso dobbiamo ricostruire l’Algeria dalla base. Dobbiamo farlo per le generazioni più giovani, per il futuro dei loro figli e dei loro nipoti”, conclude. 

Alle 11:00 di mattina il traffico riparte, mentre davanti a la Grande poste si riuniscono nuovi gruppi e nuove manifestazioni, che come tedofori si passano il testimone della protesta. L’Algeria di domani è ancora un punto interrogativo. E mentre ai vertici qualcosa si muove – dopo le dimissioni di Bouteflika è stato infatti eletto Abdelkader Bensalah, traghettatore verso le prossime elezioni programmate per il 4 luglio – nelle piazze e nelle strade gli algerini hanno ricominciato ad esercitare il proprio diritto di espressione. La protesta continua nonostante i primi segnali di nervosismo delle forze di sicurezza, con gli idranti utilizzati durante l’ultima marcia degli studenti. Ma una cosa sembra certa a tutti i manifestanti, che abbia successo o meno la protesta: questo paese ha dato un segnale che rimarrà nella sua storia.

Foto in apertura: il corteo studentesco in marcia verso place de le Grande poste ad Algeri © Marco Simoncelli

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