Cooperazione internazionale

Migranti, l’Unione europea accusata di crimini contro l’umanità

Due avvocati hanno denunciato l’Unione europea alla Corte penale internazionale. Accusandola di essere complice di crimini contro i migranti in Libia.

Accordandosi con le controverse autorità della Libia, i paesi dell’Unione europea si sono resi di fatto complici di uccisioni, torture, trattamenti disumani e deportazioni a danno di migliaia e migliaia di migranti presenti nella nazione nordafricana. E dunque di crimini contro l’umanità. È questo il cuore di una denuncia presentata da due avvocati presso la Corte penale internazionale (Cpi).

Nelle 245 pagine di denuncia i legali ripercorrono 5 anni di politiche migratorie

Il documento, di ben 245 pagine, è stato redatto dal legale franco-spagnolo Juan Branco e dal giurista israeliano Omer Shatz. Il primo è un ex assistente del primo procuratore della stessa Cpi, mentre il secondo è membro del Global Legal Action Network, associazione che ha già avviato numerose battaglie legali a difesa delle vittime della politica migratoria europea.

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Proprio quest’ultima, secondo la denuncia avrebbe “ignorato la sorte dei migranti alla deriva in mare, al fine di dissuadere le persone dal tentare di raggiungere il Vecchio Continente”. In particolare, a partire dal 2016, il sostegno alla guardia costiera libica ha fatto sì che l’Ue si sia resa complice “direttamente o indirettamente, dell’arresto e della detenzione di 40mila persone che erano riuscite a scappare dell’inferno che la Libia era diventata per loro”. Le informazioni presentate a sostegno dell’impianto accusatorio sono state raccolte su un periodo di cinque anni. Nel corso del quale, secondo Branco e Shatz, il solo obiettivo dei governi europei sarebbe stato quello di bloccare il più possibile gli ingressi in Europa.

Un gommone alla deriva © Msf
Un gommone alla deriva © Msf

“Privilegiata la difesa delle frontiere rispetto al salvataggio dei migranti”

Viene citata ad esempio l’agenzia comunitaria Frontex, che nel 2014 prevedeva apertamente le conseguenze della fine dell’operazione italiana “Mare Nostrum”, che permise di salvare migliaia di persone da morte certa nel Mediterraneo. Secondo l’organismo europeo, infatti, lo stop al pattugliamento navale avrebbe “costituito un mezzo di dissuasione per i migranti e per le reti che organizzano i viaggi. Ciò tenendo conto del fatto che i barconi dovranno ora navigare parecchi giorni prima di essere salvati”.

Mentre l’operazione “Triton”, lanciata da Frontex nel 2015 per sostituire “Mare Nostrum”, ha avuto come principale obiettivo la protezione delle frontiere europee e non le attività di ricerca e salvataggio di migranti alla deriva. In altre parole, per i due legali la reale volontà dei governi europei sarebbe evidente. Inoltre, “grazie ad una complessa combinazione di atti legislativi, decisioni amministrative e accordi formali”, l’Ue avrebbe fornito un sostegno materiale alla guardia costiera della Libia. Ciò “formando i militari sul suolo europeo e dando loro istruzioni dirette, nonché fornendo informazioni quali la localizzazione di battelli di migranti alla deriva”. Ciò pur sapendo cosa rischiavano questi ultimi tornando nei centri libici, ovvero “espulsioni, uccisioni, torture, stupri, persecuzioni”.

migranti proactiva open arms
Josephine, la migrante salvata il 17 luglio 2018 nel Mediterraneo dalla ong spagnola Proactiva Open Arms © Pau Barrena/Afp/Getty Images

Nel mirino i rapporti con la controversa guardia costiera della Libia

I due avvocati sottolineano poi come la guardia costiera libica non sia del tutto sotto il controllo del governo di Tripoli. Alcune pattuglie sono infatti emanazione di milizie armate sostanzialmente autonome, cosa che sarebbe stata di fatto confermata nel giugno 2018 da un comitato delle Nazioni Unite.

Nella denuncia, riferisce l’agenzia Ansa, non vengono individuate “responsabilità specifiche di singoli politici o funzionari”, ma sono citati “messaggi diplomatici e commenti di leader nazionali, tra i quali Angela Merkel e Emmanuel Macron”. L’azione legale resta comunque complessa: la Cpi non è infatti obbligata ad aprire un’indagine né un procedimento.

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