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L’incidente della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon non ha smesso di inquinare. Le sostanze tossiche disperse nell’ambiente con la fuoriuscita di petrolio sono entrate nella catena alimentare di pesci e uccelli
Il petrolio fuoriuscito dal disastroso incidente della Deepwater Horizon della BP, accaduto nel 2010 nel golfo del Messico, è entrato nella catena alimentare degli animali dell’area. A dimostrarlo sono stati i ricercatori della Louisiana State University e della Austin Peay State University nel Tennessee.
L’incidente della Deepwater Horizon fu causato da uno scoppio di un pozzo della piattaforma petrolifera che per 87 giorni consecutivi riversò nel Golfo del Messico 4,9 milioni di barili di petrolio e causò la morte di 11 operai. Fu la più grande fuoriuscita di petrolio nella storia degli Stati Uniti e ci vollero più di cinque anni dal 20 aprile 2010 perché la BP, proprietaria della piattaforma, fosse chiamata a rispondere, quantomeno economicamente, del danno arrecato alla fauna ittica, all’ecosistema, all’economia piscatoria e alla salute di tutti coloro che vivevano sull’area interessata da quella che fu ribattezzata la “marea nera”. Nel 2015, fu condannata a risarcire 18,7 miliardi di dollari agli “stati del Golfo” degli Usa colpiti dal disastro ambientale, vale a dire Florida, Alabama, Mississipi e Louisiana.
Un risarcimento record che tuttavia non ripara i danni causati dal disastro. Gli effetti immediati dello sversamento furono evidenti. Uccelli coperti di petrolio, pesci morti e spiagge coperte di fango nero a causa del greggio furono i primi, orribili risultati. Nei primi mesi dalla fuoriuscita si raccolsero quasi 7mila animali morti. Tra questi più di 6.100 uccelli, 69 tartarughe marine, cento delfini e altri mammiferi. Nel 2016, un rapporto di Oceana – un’organizzazione internazionale attiva nella salvaguardia degli oceani – ha concluso che nei sei anni successivi al disastro furono tra i seicentomila e gli ottocentomila gli uccelli morti a causa dell’inquinamento dovuto al petrolio. Senza contare che il disastro non solo causò gravi problemi alla fauna e alla flora locale ma mise in seria difficoltà anche la pesca nelle aree intorno alla fuoriuscita.
Six years ago, the BP #DeepwaterHorizon oil rig exploded and sank into the Gulf of Mexico https://t.co/Io2rVBMa4l pic.twitter.com/9En1NSIYUS
— Oceana (@Oceana) 16 aprile 2016
Oggi, lo studio della Louisiana State University e della Austin Peay State University dimostra che nonostante l’area sembri reagire e cominciare a risollevarsi, l’inquinamento rimane ed è anzi più subdolo perché invisibile. Attraverso lo zooplancton, ossia quei piccolissimi animali alla base di tutte le catene alimentari marine, i componenti altamente inquinanti sono entrati nella catena alimentare in primis dei pesci e dei più grandi animali marini e successivamente degli uccelli.
“I pesci possono consumare fitoplancton avvelenato dal petrolio, il pesce mangia altro pesce e porta avanti l’assorbimento delle tossine; mammiferi e uccelli marini mangiano pesce e potenzialmente potrebbero portare le sostanze tossiche in altri predatori”, ha scritto Jenna Bardroff, biologo della fauna selvatica, sul sito One Green Planet.
Dall’incidente della Deepwater Horizon nel 2010 gli sversamenti di petrolio segnalati nel Golfo del Messico sono stati 11mila e 700. Si stima che i produttori di petrolio del Golfo perdano un gallone di petrolio ogni 20mila galloni prodotti. Contando che ogni anno nel Golfo vengono estratti 20 miliardi di galloni di greggio il conto diventa impressionante. Petrolio che oggi sappiamo ritornerà in circolo come sostanza dannosa nella catena alimentare degli animali che vivono e si riproducono nelle aree interessate dagli sversamenti. È ora che i governi che finanziano l’industria petrolifera e sono a favore dell’estrazione del petrolio facciano una seria riflessione non solo per limitare le perforazioni ma quanto meno per renderle più sicure.
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