Rigenerare le praterie di Posidonia oceanica nel mar Mediterraneo, con la Water Defenders Alliance

Le praterie di Posidonia oceanica hanno un grande valore ecosistemico. Chi aderisce alla Water Defenders Alliance può contribuire a ripristinarle.

  • La Posidonia oceanica è una pianta endemica del mar Mediterraneo, dove forma praterie dette posidonieti.
  • Questi ecosistemi sono importantissimi per la biodiversità e l’assorbimento dell’anidride carbonica.
  • Un team di ricerca dell’università di Genova si occupa da tempo di rigenerare le praterie di Posidonia oceanica.
  • La tecnica scelta, manuale e poco impattante per l’ecosistema, finora ha garantito ottimi risultati.
  • Questa è una delle soluzioni proposte dalla Water Defenders Alliance, coordinata da LifeGate.

Fra le tante ricchezze del mar Mediterraneo, ce n’è anche una in cui qualsiasi appassionato di snorkeling o immersioni prima o poi si è imbattuto, spesso dandola quasi per scontata. Stiamo parlando della Posidonia oceanica, quella pianta acquatica che forma vere e proprie praterie sottomarine. In realtà la loro sopravvivenza è tutt’altro che scontata, perché ogni giorno subisce la pressione delle attività umane. La Water Defenders Alliance si occupa anche di questo, supportando quelle realtà che lavorano per ripristinare questi preziosi ecosistemi.

Cos’è la Posidonia oceanica e perché è così preziosa

Il primo equivoco da sfatare sulla Posidonia oceanica? Non è un’alga, bensì una pianta. La differenza è fondamentale, perché significa che ha radici, fusto (detto rizoma), foglie e fiori, proprio come le piante terrestri. È uno dei nostri endemismi, cioè vive solo ed esclusivamente nel mar Mediterraneo, dove forma vaste e fitte praterie, dette posidonieti.

“I posidonieti sono ecosistemi importantissimi, capaci di fornire una grande varietà di servizi per il benessere umano”, sottolinea il biologo marino Emilio Mancuso, presidente della onlus Verdeacqua. Qualche esempio? Assorbono il doppio dell’anidride carbonica rispetto alle foreste, soprattutto all’interno delle “matte”, un intreccio di rizomi, radici e sedimenti intrappolati nella parte inferiore di queste piante. Contestualmente, ogni metro quadrato di prateria rilascia da 14 a 16 litri di ossigeno al giorno. “La Posidonia oceanica è un polmone verde ma è anche un polmone di biodiversità perché funge da nursery, ospitando tantissimi organismi che, una volta adulti, sono anche di interesse commerciale”, continua Mancuso.

“La formazione dei posidonieti inoltre stabilizza i fondali sabbiosi e morbidi, oltre a rendere meno torbida l’acqua quando ci sono le mareggiate. Soprattutto, riduce tantissimo l’erosione delle coste: i posidonieti infatti svolgono un’azione da freno idrostatico, evitando che la grande energia delle onde impatti sulle coste e si porti via chilometri e chilometri di spiagge”, sottolinea.

Perché i posidonieti sono in pericolo

“Virtualmente potremmo – anzi dovremmo – trovare Posidonia oceanica ovunque nel Mediterraneo ci siano fondali sabbiosi con una granulometria media. Lo troviamo dal pelo dell’acqua fino a 25-30 metri di profondità, cioè fino a quando la luce le permette di effettuare la fotosintesi”, continua il biologo marino Emilio Mancuso.

Perché “virtualmente”? Perché è vero che i posidonieti sono protetti dalla direttiva Habitat (92/43/CEE) e classificati come habitat prioritari. Ma è vero anche che, “per via degli errori, delle leggerezze e del modus operandi tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, abbiamo assistito a una forte regressione dei posidonieti nel nostro mare”, spiega Mancuso. Le reti a strascico (vietate in questi ecosistemi, ma talvolta usate illegalmente) e le àncore delle imbarcazioni strappano via foglie, rizomi o addirittura intere piante, mentre l’inquinamento da idrocarburi e sostanze chimiche le danneggia e rende le acque più torbide. “Sono di grande aiuto le operazioni di monitoraggio, così come quelle di ripristino degli habitat”, conclude Mancuso.

Come si fa a piantumare Posidonia oceanica

Operazioni come quelle che da anni organizzano i team di ricerca dell’università di Genova e della International school for scientific diving, tra Corsica, Toscana e – più di recente – le aree marine protette di Portofino e Bergeggi. “Non riforestiamo aree completamente deserte, bensì praterie che mostrano segni di regressione ma sono sulla via del recupero”, spiega Monica Montefalcone, ricercatrice con un dottorato in Scienze del mare. “La prima cosa da fare è selezionare la zona più idonea. Le aree marine protette ci offrono qualche sicurezza in più, perché le pressioni antropiche locali sono ridotte. Di solito lavoriamo tra i 10 e i 15 metri di profondità, perché la luce arriva ma, al tempo stesso, mareggiate e correnti non sono troppo violente”.

A questo punto bisogna posizionare il substrato per l’ancoraggio delle piante, costituito da biostuoie in fibra di cocco, stese sotto una rete metallica che le tiene ben salde e adese al fondale. Le biostuoie sono una tecnologia brevettata dalla International school for scientific diving, la prima scuola italiana di formazione di ricercatori scientifici subacquei. Le stuoie, di 5 metri per 2, vengono fissate nelle aree limitrofe alle praterie già esistenti, lavorando su 100 metri quadrati alla volta. “Nella maggior parte dei casi, recuperiamo le talee già libere in mare, cercando quelle che sono già state eradicate (per esempio dagli ancoraggi) e altrimenti sarebbero destinate a morire sul fondo. Se non ne troviamo, le andiamo a staccare dalle praterie limitrofe (chiamate donatrici) assicurandoci di non avere un impatto negativo”, racconta Montefalcone. “Dopodiché le mettiamo nelle ceste, facciamo un po’ di giardinaggio e le andiamo a trapiantare sulle stuoie, infilandole una a una nelle maglie. In media ne usiamo 2mila in 100 metri quadrati”.

riforestare posidonia oceanica
Per riforestare la Posidonia oceanica si posizionano sul fondale biostuoie in fibra di cocco, stese sotto una rete metallica © Fabio Benelli

Monitorare i risultati delle operazioni di ripristino

“Il passaggio successivo è il monitoraggio dei fasci che riescono a sopravvivere: per il primo anno torniamo nel sito ogni tre mesi per contarli, più avanti passiamo a un paio di volte all’anno”, continua la ricercatrice. Certamente, gli imprevisti possono succedere: basta che un’imbarcazione getti un’àncora per strappare un’intera stuoia. O ancora, una forte mareggiata nelle settimane immediatamente successive alla piantumazione può portare via le piantine che non hanno ancora sviluppato le radici. “Normalmente le percentuali di sopravvivenza delle talee trapiantate si attestano tra il 50 e il 70 per cento. A Portofino, dove siamo intervenuti nel mese di giugno del 2022, abbiamo registrato un 70 per cento”. Tutto questo con una tecnica che è prevalentemente manuale e non richiede, dunque, macchinari complessi e costosi.

“In tutti i nostri monitoraggi, il dato utile per i primi due anni è il conteggio del numero dei fasci presenti. Eseguiamo anche una microcartografia della zona riforestata, andando a mapparla con un grande livello di dettaglio”, aggiunge Monica Montefalcone. “Considerato che un prateria si estende di circa un centimetro all’anno, però, ci vogliono almeno 3-5 anni per percepire una sua crescita”.

piantumazione delle talee
Le talee vengono piantate una per una, a mano © Marcello di Francesco

Tutelare la Posidonia oceanica con la Water Defenders Alliance

La piantumazione di Posidonia oceanica con il team dell’università di Genova è una delle soluzioni a cui possono contribuire i membri della Water Defenders Alliance. Coordinata da LifeGate, che fa da garante della sua solidità scientifica, questa iniziativa riunisce aziende, persone, porti, istituzioni ed enti del mondo della ricerca. L’intento comune è quello di salvare le nostre acque, agendo su tre fronti: la presenza dei rifiuti di plastica, l’inquinamento chimico provocato dagli sversamenti di idrocarburi e la fragilità degli habitat marini.

Si parte dai 99 porti e aree marine protette che sono già inclusi nel progetto PlasticLess, raggruppati in macroaree. Ogni azienda può “adottarne” uno o più, candidandosi a completare le sfide identificate. Tutti i risultati vengono monitorati passo dopo passo, con l’obiettivo di arrivare al 100 per cento, per ciascuna sfida, in ogni porto del nostro paese. Per saperne di più: https://waterdefenders.it/

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