Condannati a 16 mesi gli assassini del cane Angelo

Si è chiuso il processo per la morte del cane Angelo, randagio torturato e ucciso a Sangineto. I quattro imputati riusciranno però a evitare il carcere.

La notte del 24 giugno 2016 a Sangineto, paese in provincia di Cosenza, quattro ragazzi hanno torturato un cane randagio chiamato Angelo, impiccandolo ad un albero e finendolo a badilate, riprendendo il tutto con i loro smartphone. L’orrore per questo gesto aumenta esponenzialmente se pensiamo che i quattro lo abbiano fatto “per gioco”, come hanno ammesso loro stessi, e hanno poi pubblicato il video del loro crimine sui social network, vantandosi dell’assassinio di un animale mite e innocuo, che non avrebbe cercato di difendersi e che fino all’ultimo avrebbe scondinzolato ai suoi aggressori, mostrando loro un coraggio che probabilmente non conosceranno mai.

Cane randagio
La motivazione della condanna a Giuseppe Liparoto, Nicholas Fusaro, Francesco Bonanata e Luca Bonanata: “in concorso tra loro e con crudeltà e senza necessità, di un medesimo disegno criminoso, aver torturato un cane randagio, catturandolo, impiccandolo ad un albero, stringendogli una fune intorno al collo, colpendolo ripetutamente e con violenza con una spranga fino a cagionare la sua morte. Il tutto riprendendo la scena in un video successivamente pubblicato su Facebook” © GettyImage

Giustizia per Angelo

La tragica morte di Angelo ha scatenato un’enorme indignazione che si è diffusa a macchia d’olio in tutto il Paese tramite i social network. Sono sorti comitati che chiedevano giustizia per Angelo e pene esemplari per i suoi aguzzini e la trasmissione televisiva Le iene ha dedicato un servizio alla vicenda, scontrandosi con l’ostilità degli abitanti di Sangineto, sorpresi per tutta quell’attenzione riservata ad un cane.

Le condanne

Verso le 13.30 è stata emessa la sentenza per i quattro imputati, Giuseppe Liparoto, Nicholas Fusaro, Francesco Bonanata e Luca Bonanata, assassini di Angelo che sono stati condannati a sedici mesi di carcere. Si tratta del massimo della pena, considerato che i quattro avevano scelto il rito abbreviato. Nella scorsa udienza il pubblico ministero aveva chiesto il massimo della pena prevista, due anni di reclusione. Tuttavia i quattro non trascorreranno neppure un giorno in galera, il giudice del tribunale di Paola, Alfredo Cosenza, ha deciso per i quattro la pena sospesa in quanto incensurati.

 

Le misteriose vie della giustizia

Gli imputati sono stati condannati al pagamento di duemila euro di risarcimento danni per ciascuna parte civile costituita e dovranno svolgere sei mesi di volontariato presso una struttura-canile, da effettuarsi entro un anno dal passaggio in giudicato della sentenza. Ci sembra quantomeno discutibile la scelta di far lavorare in un canile delle persone che hanno torturato e ucciso un cane, un po’ come mandare dei pedofili a redimersi in orfanotrofio.

Randagio in Sicilia
In Italia il randagismo è un problema reale che affligge buona parte della penisola ed è gestito in maniera inadeguata © Ingimage

Non solo Angelo

Considerare i quattro colpevoli come dei mostri disumani, incapaci di alcuna pietà è facile e naturale, e contribuisce ad assolverci, a tracciare un solco netto tra noi e loro. Ma forse non è così, forse quei ragazzi (sia chiaro, senza alcun intento assolutorio) sono il prodotto di questa società che trae linfa vitale dal sopruso sul più debole e dalla spettacolarizzazione della sofferenza. Quello di Angelo non è infatti un caso isolato, sono centinaia ogni anno gli episodi di cani e gatti torturati e uccisi in tutta Italia (con una maggiore concentrazione di episodi nel Meridione). Se è ormai evidente e dimostrato che in numerosi casi la violenza sugli animali non è altro che una “palestra” che conduce all’aggressività contro le persone, dobbiamo cercare di spezzare questa catena di violenza, senza voltare il capo ma neppure rispondendo con la stessa cieca furia, senza dimenticare mai la lezione di Angelo, che ha scondinzolato fino all’ultimo.

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