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Il primo aprile 2013 in Birmania quattro testate quotidiane private sono tornate in edicola in seguito alla disposizione del governo che ha cancellato la messa al bando introdotta dalla giunta militare nel 1964.
Per cinquant’anni gli unici quotidiani
disponibili erano statali mentre a quelli privati era concessa solo
la periodicità settimanale.
Il governo civile – che però vede alla guida ex
militari che hanno rassegnato le dimissioni per poter partecipare
alle elezioni del 2011 – ha concesso la licenza a sedici delle
venticinque testate che hanno presentato la domanda per poter
riattivare le rotative, ma solo quattro sono riuscite a essere in
edicola in tempo per l’entrata in vigore della nuova disposizione:
The Voice, Golden Fresh Land, The Standard Time e il
filogovernativo Union Daily.
Entro fine aprile dovrebbe essere pronta anche la prima uscita
del quotidiano D-Wave che fa capo alla Lega nazionale per la
democrazia, il partito guidato da
Aung San Suu Kyi.
Le reazioni degli editori, però, non sono state solo
positive: “Il permesso per il mio giornale – ha spiegato a Euronews Khin Maung Lay, editore
di 81 anni – termina il 30 giugno. Dopo dovrò chiedere un
prolungamento. E se devo fare una cosa simile significa che non
c’è libertà di stampa”.
Una copia di un quotidiano costa circa venti centesimi di
euro, mentre il reddito annuale medio di un cittadino birmano si
aggira sui mille euro. Questo è uno dei motivi che sta
spingendo il giornale di Stato New
Light of Myanmar a diventare una joint venture, ovvero a
stringere accordi con altri giornali per sopravvivere alla
concorrenza visto che il potere di acquisto è molto basso e
poche persone possono concedersi il lusso di comprare più di
un giornale per volta.
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