La Corte suprema di Israele ha bocciato la riforma della giustizia di Netanyahu

Per la Corte suprema israeliana la parte di riforma della giustizia approvata è contraria ai principi democratici. Una dura sconfitta per Netanyahu.

  • La riforma della giustizia era il principale pilastro programmatico del governo Netanyahu fino all’inizio dell’offensiva su Gaza.
  • Finora il parlamento aveva approvato solo una parte della riforma, che ora è stata respinta dalla Corte suprema.
  • La bocciatura è un duro colpo politico per Netanyahu, già sotto accusa per non aver evitato la strage del 7 ottobre.

L’1 gennaio la Corte suprema di Israele ha dichiarato illegittima la parte di riforma della giustizia approvata dal governo Netanyahu nel luglio scorso. Il progetto di riforma della giustizia, pilastro programmatico del governo, aveva causato profonde proteste nel paese, perché considerato troppo autoritario. L’attuale esecutivo, considerato il più estremista di destra nella storia di Israele, mirava infatti a limitare fortemente i poteri della Corte suprema ma finora era riuscito ad approvare solo una parte della riforma, quella relativa alla cancellazione della “clausola di ragionevolezza”, con cui i giudici avevano il potere di annullare leggi considerate inappropriate.

Ora la Corte suprema ha bocciato la nuova normativa, infliggendo una dura sconfitta politica al premier Netanyahu, già travolto dalle accuse sulla gestione della sicurezza nazionale dopo la strage del 7 ottobre operata da Hamas.

proteste Israele
Le proteste contro la riforma della giustizia di Israele © Amir Levy/Getty Images

La riforma della giustizia israeliana

Il progetto di riforma della giustizia israeliana è stato presentato all’inizio del 2023. La sua approvazione è stata una delle priorità del nuovo governo Netanyahu, insediatosi negli ultimi giorni del 2022 e considerato l’esecutivo più estremista di destra della storia del paese.

Con la nuova riforma della giustizia il governo Netanyahu vuole limitare il potere dei giudici supremi. In particolare, il testo prevede un innalzamento della quota di membri eletti direttamente dal governo della commissione incaricata di nominare i giudici della Corte suprema. Oggi sono quattro su nove, quindi la minoranza, l’obiettivo è arrivare a otto su 11. La riforma decreta poi la cancellazione della “clausola di ragionevolezza”, cioè il potere di veto dei giudici supremi sulle leggi approvate dal parlamento. Infine si vuole attribuire al parlamento monocamerale il potere di bloccare le sentenze della Corte, dando così ai deputati, dunque alla maggioranza che esprime il governo, l’ultima parola sui giudici.

Il progetto di riforma della giustizia ha causato profonde proteste nel paese, soprattutto nella prima parte dell’anno. Larghe fette della popolazione hanno denunciato la deriva autoritaria a cui avrebbe portato la riforma, centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza a cadenza settimanale e sono state anche assaltate le abitazioni di alcuni parlamentari e bloccate autostrade. A far aumentare la rabbia il fatto che il premier Netanyahu sia sotto processo per frode, corruzione e abuso di potere e che la riforma della giustizia possa anche essere una sorta di norma ad personam per schivare un’eventuale condanna. E contro la riforma si sono schierati perfino figure come il presidente di Israele, Isaac Herzog, o ex capi della polizia, del servizio di intelligence dello Shin Bet e dei servizi segreti del Mossad

L’intervento della Corte suprema

Il percorso di approvazione della riforma della giustizia nel 2023 è stato molto accidentato. Le profonde proteste nel paese e la presa di posizione di figure politiche di spicco hanno rallentato l’iter, ma alla fine a luglio il parlamento israeliano ha approvato un primo pezzo del testo, quello relativo alla cancellazione della “clausola di ragionevolezza”.

A ottobre dovevano riprendere i lavori sul tema del parlamento, ma l’attentato del 7 ottobre a opera di Hamas in suolo israeliano, che ha causato 1.200 morti, e il lancio dell’offensiva militare sulla Striscia di Gaza, che a oggi ha provocato circa 22mila morti e la distruzione di buona parte di edifici e infrastrutture in quella che ogni giorno assume sempre più le sembianze di un genocidio del popolo palestinese, hanno fatto finire la riforma della giustizia nel cassetto. Che ora però è tornata a far parlare.

Il primo gennaio la Corte suprema israeliana ha bocciato l’unica parte di riforma già approvata, quella relativa alla cancellazione della “clausola di ragionevolezza”. A votare in questo senso sono stati otto giudici su quindici e tra le motivazioni si legge che “lo Stato di Israele ha bisogno di rafforzare la sua componente democratica mentre la riforma andava nella direzione opposta, e cioè rafforzava il potere del suo organo esecutivo”. 

Si tratta di un duro colpo politico per il premier Netanyahu e il suo esecutivo, che già non se la passano bene. Le rivelazioni che al governo fossero a conoscenza dei piani di attacco di Hamas del 7 ottobre ma che li abbiano sottostimati ha fatto crescere in queste settimane il malcontento nella popolazione israeliana. Alle falle nei sistemi di sicurezza nazionale ora si aggiunge la sconfitta su quello che era il principale pilastro programmatico di governo prima della guerra, cioè l’approvazione della riforma della giustizia. Netanyahu ne esce sconfitto su tutti i fronti.

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