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Nel 2025 ci si aspettava un lieve rallentamento del riscaldamento globale: per ora non è così. Il mese di gennaio che si è appena concluso è stato il più caldo di sempre per un motivo.
Siamo d’accordo. Per molte persone più o meno coinvolte nello studio, nella divulgazione o più semplicemente nella comprensione della crisi climatica, la notizia del gennaio più caldo di sempre unita alla ricerca delle cause per cui il riscaldamento globale abbia “improvvisamente” accelerato hanno rappresentato una bella botta. “Mai una gioia” potrebbe essere l’espressione che più fa al caso nostro.
Ma perché quest’anno il riscaldamento globale non sembra voler rallentare nonostante la fine del fenomeno meteorologico dell’oscillazione meridionale, noto come El Niño, che ha caratterizzato il biennio 2023-2024?
Era “normale” (o meglio, prevedibile) che in questi due anni la temperatura superficiale dell’oceano Pacifico fosse più alta ed era altrettanto “normale” che il mix con l’aumento della temperatura causata dalle emissioni di gas serra potesse risultare esplosivo. Non è altrettanto normale che il 2025 sia iniziato senza che la tendenza dei mesi precedenti abbia registrato un rallentamento. Parliamoci chiaro, nessuno si aspettava che la temperatura tornasse improvvisamente nella media, ma quantomeno che venisse interrotta la striscia di record che ci ha accompagnato negli ultimi mesi. E invece no. Il gennaio 2025 è stato il gennaio più caldo di sempre con la temperatura media globale che ha raggiunto i 13,23 gradi Celsius (°C), ovvero 0,79°C in più rispetto alla media del periodo 1991-2020 e 1,75°C in più rispetto alla media pre-industriale (che va dal 1850 al 1900). Gli stessi scienziati di Copernicus climate change service, il servizio europeo che monitora i cambiamenti climatici, si sono detti “sorpresi”.
La risposta a questo scenario, che nemmeno la scienza istituzionale aveva previsto (anche alcune ricerche già avevano approfondito la questione), arriva da uno studio pubblicato il 3 febbraio sulla rivista scientifica Environment: science and policy for sustainable development e condotto, tra gli altri, dall’eminente – è proprio la parola giusta – James Hansen. In breve, se la temperatura media globale è stata molto più alta del previsto durante il biennio del Niño, ma soprattutto, se oggi non ci sono segnali di retrocessione da parte del termometro del pianeta, la causa è da “imputare” alla riduzione delle emissioni di anidride solforosa (SOx) causate dal trasporto marittimo. Un calo dovuto all’entrata in vigore nel 2020 del regolamento varato dall’Organizzazione marittima internazionale (Imo) e che ha portato a una riduzione del limite di zolfo presente nell’olio combustibile che fa muovere le navi, passato dal 3,5 allo 0,5 per cento.
Un paradosso. Queste emissioni, infatti, da una parte avevano come conseguenza l’aumento dell’inquinamento atmosferico (dannoso per la salute umana), dall’altra fungevano da stimolo alla formazione di quelle piccole particelle o goccioline che fluttuano nell’aria e che danno vita alle nuvole (aerosol). Nuvole che poi fungevano da riflesso per i raggi solari. Quindi queste emissioni, a loro modo, limitavano l’assorbimento di calore da parte della superficie terrestre e degli oceani. La Terra, senza questi inquinanti – e quindi senza una chiara e soffice copertura nuvolosa costante – ha assunto tonalità più scure che assorbono maggiormente i raggi solari e intensificano il riscaldamento globale. È come se il contrasto all’inquinamento da zolfo abbia ridotto “l’effetto albedo” delle nuvole presenti nel cielo.
Le navi erano – e sono – la maggior causa di aerosol negli oceani Atlantico e Pacifico settentrionali. Ecco perché, secondo gli autori dello studio Global warming has accelerated: are the United Nations and the public well-informed? (Il riscaldamento globale accelera: le Nazioni Unite e l’opinione pubblica ne sono al corrente a sufficienza?), ritengono che il riscaldamento globale potenziato dalla riduzione dell’aerosol causato dal trasporto marittimo non rallenterà nonostante l’ingresso de La Niña. Una condizione che potrebbe far restare la temperatura media globale intorno agli 1,5°C nei prossimi anni.
Qui ci vuole una precisazione molto importante, però: non tutti gli aerosol hanno effetti “positivi” sul clima. Ci sono particelle di colore chiaro – come quelle prodotte dallo zolfo – che in atmosfera riflettono la luce solare in arrivo, contribuendone al raffreddamento. Ma ci sono particelle scure, come la fuliggine, causate dalla combustione di carbone, petrolio e gas o provocate da grandi incendi boschivi e forestali dall’utilizzo delle stufe a legna o di altre attività industriali che assorbono la luce solare e riscaldano ulteriormente l’atmosfera.
Cosa comporta tutto questo? Che, nel breve, andremo incontro a un aumento della frequenza e della potenza degli eventi meteo estremi – come alluvioni, ondate di calore, ma anche trombe d’aria, tempeste che posso trasformarsi in cicloni o tifoni. E per finire, potrebbe avere effetti molto più rapidi di quanto previsto dai rapporti del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) sul capovolgimento meridionale della circolazione atlantica (Amoc, Atlantic meridional overturning circulation) provocata da un grande afflusso di acqua dolce proveniente dalla fusione dei ghiacciai nell’Atlantico settentrionale. Se l’innalzamento del livello dei mari dovesse accelerare e, al contempo, la corrente dovesse improvvisamente fermarsi, si potrebbe raggiungere un “punto di non ritorno”. E tutto questo è inaccettabile: da qui l’esigenza di aumentare la conoscenza e la consapevolezza (come da titolo dello studio).
Una speranza, dunque, c’è. Questo scenario ci conferma che quando la comunità internazionale agisce in modo deciso e coordinato può avere effetti concreti sull’atmosfera e sulla salute del pianeta. Lo è stato per la messa al bando dei clorofluorocarburi per ricucire il buco dell’ozono, lo è per la riduzione delle emissioni da zolfo che causano danni alla salute umana. Ora è tempo di farlo per frenare la vertiginosa ascesa delle temperature causata dai combustibili fossili.
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