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Il governo serbo rilancia il progetto di estrazione di litio “Jadar” dopo averlo bloccato nel 2022. Nuove proteste a Belgrado.
Negli ultimi anni, la Serbia è diventata il centro di una battaglia ambientale e politica incentrata sul litio, un metallo essenziale per la produzione di batterie per veicoli elettrici e non solo. Questo conflitto è emerso con particolare intensità a seguito della presentazione del progetto Jadar, un piano ambizioso sviluppato dalla compagnia mineraria Rio Tinto per estrarre litio dalla jadarite, un minerale presente in Serbia in quantità significative. Negli ultimi giorni, migliaia di manifestanti sono scesi nelle piazze di Belgrado per gridare la loro contrarierà al progetto.
Nel 2004, i geologi del gruppo minerario Rio Tinto scoprirono un nuovo minerale, un borosilicato di litio-sodio chiamato poi “jadarite” dal nome del fiume Jadar, un affluente della Drina. Il litio è diventato sempre più importante nel processo di transizione energetica, ma la sua estrazione non è esente da impatti ambientali. Si stima che il giacimento nella Serbia occidentale sia uno dei più ricchi al mondo, e che la miniera potrebbe diventare la più grande del suo genere in Europa.
Ma il progetto Jadar ha scatenato un’ondata di proteste a partire dal 2020, quando Rio Tinto ha annunciato un investimento di 450 milioni di dollari per avviare effettivamente l’estrazione del minerale. Le preoccupazioni ambientali legate alla potenziale contaminazione delle risorse idriche e all’impatto sulla salute pubblica hanno mobilitato migliaia di cittadini e attivisti. Tanto che nel gennaio 2022, le pressioni pubbliche hanno spinto il governo serbo a sospendere le licenze della compagnia, apparentemente ponendo fine al progetto.
Nel luglio 2024, il governo serbo ha deciso di ripristinare il progetto Jadar, dopo che la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale la precedente decisione di bloccarlo. Questo ha riacceso le proteste, con migliaia di persone che sono scese nuovamente in piazza a Belgrado, gridando slogan come “Rio Tinto via dalla Serbia” e chiedendo la cessazione permanente di tutte le attività di estrazione del litio nel paese. La situazione è diventata ancor più tesa quando alcuni leader delle proteste, come Aleksandar Matković, hanno ricevuto minacce di morte, alimentando il timore di una crescente repressione.
La questione del litio in Serbia non riguarda solo l’ambiente, ma si intreccia con questioni più ampie di sovranità nazionale e relazioni geopolitiche. Il memorandum firmato il 19 luglio scorso tra l’Unione Europea e il governo serbo per lo sviluppo e l’estrazione di materie prime strategiche è visto da molti come un passo verso un’integrazione economica sempre più stretta con l’Unione europea stessa. Tuttavia, critici come Matković temono che ciò possa legare la Serbia a un rapporto di tipo “neocoloniale” con l’Europa, sacrificando l’ambiente e la salute pubblica sull’altare del profitto e della politica internazionale.
“Qualsiasi forma di inquinamento che entra nel fiume Jadar raggiunge gran parte della Serbia occidentale fino a Belgrado, e colpisce persino la Bosnia-Erzegovina”, ha detto l’attivista serba Iskra Krstić. “Nessuno conosce in dettaglio l’impatto ambientale del progetto, non sappiamo le tecnologie che verrebbero utilizzate, né quali precauzioni verrebbero prese per proteggere l’ambiente e le persone. E nessuno sa quanta parte dei profitti della miniera rimarrebbe alla Serbia, se non che è molto poco, non più del quattro per cento secondo le nostre leggi sull’estrazione mineraria”, ha concluso Iskra.
In definitiva, il conflitto sul litio in Serbia è destinato a proseguire, con implicazioni non solo per il futuro energetico dell’Europa, ma anche per la stabilità politica e sociale della regione balcanica. Le prossime mosse del governo serbo e della comunità internazionale saranno cruciali per determinare se la Serbia riuscirà a trovare un equilibrio tra sviluppo economico e sostenibilità ambientale, o se continuerà a essere un campo di battaglia tra interessi contrastanti.
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