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Sanscrito, una chiave per l’India
Il sanscrito, lingua sacra e culturale dell’India Classica, è stato utilizzato per quasi due millenni come veicolo principale di trasmissione del sapere
Il sanscrito, lingua sacra e culturale dell’India Classica,
è stato utilizzato per quasi due millenni come veicolo
principale di trasmissione del sapere di un’intera civiltà.
Ovunque rivolgiamo la nostra attenzione nell’ambito del vastissimo
patrimonio culturale dell’India Classica troviamo testi scritti in
sanscrito: i testi dello yoga, quelli medici (e scientifici in
generale), l’epica, i testi filosofici e
religiosi, i trattati di ritualistica, di legge o di
argomenti profani, testi lirici e opere di teatro, romanzi, novelle
– in pratica testi riguardanti ogni ambito dello scibile umano:
tutto ci è giunto scritto in sanscrito.
Fu proprio la “messa a punto” del sanscrito classico da parte
dei grammatici antico-indiani in un periodo circa fra il VII e il
II secolo a.C. che segnò l’inizio della civiltà
indiana classica, civiltà che non è identificata
tanto da una collocazione geografica o temporale specifica (come
per esempio nel caso della Grecia Classica), quanto dall’adesione
ad una serie di principi spirituali, estetici, filosofici e
culturali, nonché dall’adozione del sanscrito come unica
lingua “all’altezza” di trasmettere la conoscenza.
Chi “creò” il sanscrito furono i primi grammatici in
assoluto nella storia dell’uomo che, con l’intenzione di preservare
la perfetta intelligibilità della lingua attestata nei
Veda,
testi di natura molto varia e stratificati nel tempo (in un periodo
che va dal XV al VII secolo a.C.), considerati sacri ed eterni,
misero a fuoco concetti come quelli di radice verbale, suffisso e
terminazione, e riuscirono a sviscerare i meccanismi di fondo della
lingua. La loro analisi fu talmente precisa e approfondita che
poté servire da “ossatura” per una lingua “perfetta”,
cioè estremamente regolare e spiegabile in ogni suo aspetto,
e di conseguenza immutabile nel tempo, il sanscrito classico
appunto.
Affondando le proprie radici nella lingua attestata nei Veda, il
sanscrito traspose sul piano umano la perfezione e
infallibilità del Vedico, diventando la sola lingua degna di
trasmettere il sapere elevato o comunque “ufficiale”
dell’India.
Importante in questo senso è il cosiddetto fenomeno della
“sanscritizzazione” che permise alla cultura ufficiale di
appropriarsi di elementi originariamente esterni dandogli una
“veste” ufficiale, il sanscrito appunto (fenomeno che contribuisce
a spiegare l’estrema varietà, a volte contraddittoria, di
questa cultura).
Lo studio del sanscrito rappresenta dunque una via di accesso
privilegiata e non trascurabile alla civiltà indiana
classica, sia perché è l’unico modo per accedere
direttamente ai suoi testi (condizione necessaria per verificare la
fondatezza di nostre o altrui interpretazioni e intuizioni), sia
perché ci proietta direttamente nel cuore di tale
civiltà, essendo il sanscrito parte imprescindibile della
forma mentis di tutti i suoi autori e pensatori, ed elemento
unificante di una civiltà diffusa su un territorio
estremamente vasto e per lo più politicamente disunito (il
subcontinente indiano), per un arco di tempo incredibilmente ampio
(circa due millenni).
Immagine: The Joy of
Sanskrit, di Kent Lew (Yoga Journal)
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