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La Sierra Leone svende i suoi paradisi naturali alla Cina in nome dello sviluppo
Il governo della Sierra Leone ha ceduto a Pechino coste e foreste vergini per la costruzione di un porto per la pesca industriale.
La penetrazione della Cina nel continente africano, ancora una volta, fa discutere, suscita polemiche e provoca un’ondata di indignazione corale. Nell’occhio del ciclone è un accordo da 55 milioni di dollari firmato dal governo di Pechino e da quello di Free Town per la realizzazione di un porto per la pesca industriale in un tratto di fascia costiera incontaminata della Sierra Leone.
La Cina compra le coste vergini africane
Ad aver provocato la mobilitazione di attivisti e legali è il fatto che attraverso questo contratto la Sierra Leone ha in effetti venduto alla Cina 250 ettari di spiaggia vergine e foresta pluviale della località conosciuta come Black Johnson per la realizzazione di un maxi impianto che consentirà ai pescatori cinesi di stoccare e processare il pesce, destinato ai mercati esteri in modo più rapido e inoltre di poter praticare la pesca intensiva con estrema voracità e massima libertà nelle acque africane.
E, stando a quanto dicono i residenti locali, questo maxi porto industriale causerà la distruzione della foresta pluviale, saccheggerà gli stock di pesci che garantiscono la sopravvivenza ai pescatori africani, inquinerà l’ambiente marino e avrà conseguenze irreversibili sull’ecosistema di una zona che ospita specie protette e in via d’estinzione come tartarughe e pangolini.
La Sierra Leone ha tenuto nascosto il progetto
Primo a denunciare pubblicamente quanto sta avvenendo lungo le coste dell’Africa occidentale è stato il giornale britannico The Guardian. Leggendo il quotidiano londinese si scopre che l’opinione pubblica africana è stata messa al corrente in modo ufficiale del progetto e della stretta di mano tra il Paese africano e quello asiatico solo dopo che alcuni report, relativi alla costruzione di un impianto per la produzione di farina di pesce, hanno iniziato a circolare sul web. In seguito al terremoto causato dalle carte diffuse in rete, il governo sierraleonese è intervenuto confermando che l’accordo commerciale c’è stato ma ha specificato che l”impianto che verrà costruito non riguarderà la produzione di farina di pesce ma si tratterà di un porto ittico deputato soprattutto alla pesca del tonno.
All’annuncio del governo immediata c’è stata la risposta degli attivisti e il giornale britannico ha fatto sapere che già adesso sono in corso due azioni legali da parte dell’Institute for legal research and advocacy for justice (Ilraj) e del Namati Sierra Leone. Le due associazioni, impegnate nella difesa dell’ambiente e delle popolazioni autoctone, hanno chiesto al governo, come previsto dal Right to access information act del 2013, di visionare gli studi di valutazione sull’impatto ambientale e sociale che provocherebbe l’impianto industriale e poi hanno chiesto di avere accesso anche al report che dipinge la spiaggia in questione come luogo più adatto per la realizzazione dell’opera e inoltre stanno attendendo che gli venga fornita anche una copia dell’accordo firmato tra Cina e Sierra Leone.
Nel frattempo è stata anche lanciata una campagna crowdfunding per sostenere le spese legali e una petizione per convincere il governo a tornare sui suoi passi e fermare l’opera anche se le speranze di un dietrofront da parte dell’esecutivo sono davvero minime.
Il maxi porto porterà guadagni soltanto alla Cina
Il ministro della pesca sierraleonese Emma Kowa Jalloh, sul Sierra Leone Telegraph, attraverso un comunicato ufficiale, ha dichiarato che Black Johnson è il luogo più adatto per un progetto di questo tipo, che è stato stanziato un pacchetto di risarcimenti pari ad oltre 1 milione di euro per i proprietari terrieri che saranno espropriati, e ha specificato poi, sempre nel testo del documento, che la struttura, sebbene non creerà impiego per la popolazione locale e nemmeno reddito, aiuterà però i sierraleonesi ad incrementare le proprie abilità per quel che concerne la riparazione e il mantenimento delle imbarcazioni.
Una situazione che è facile capire quindi perché indigni e spaventi: la creazione del maxi porto industriale, che prevede la svendita di un tratto paradisiaco della costa africana alla Cina, non contempla la creazione di posti di lavori per la popolazione africana, inoltre il turismo verrà danneggiato e la pesca sostenibile, che in queste acque viene praticata da famiglie di pescatori locali, e che garantisce il 70 per cento del pescato destinato al mercato interno, verrà completamente annientata dalla pesca industriale praticata dai grandi pescherecci.
Danni economici, ambientali e umani sembrano quindi essere una conseguenza inevitabile della costruzione del porto industriale ma, nonostante tutto ciò, la creazione dell’impianto industriale avverrà e a confermarlo sono le parole del ministro della pesca che ha così chiosato: “Farei solo appello alle persone: abbiate pazienza, vogliamo essere sviluppati, vogliamo crescere, vogliamo essere classificati come un paese in crescita. Ci deve essere sviluppo e qualcuno deve sacrificarsi”.
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