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L’Autorit
La sentenza– Gli shopper di
plastica ‘tradizionale’ con l’aggiunta dell’additivo chimico
denominato “Ecm” non posso essere pubblicizzati e venduti come
biodegradabili e compostabili perché non rispettano le
condizioni e i tempi previsti dalla normativa comunitaria e
nazionale di settore. E’ quanto afferma l’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato.
Il caso– Nel mercato italiano, nel corso del
2010, si stavano diffondendo sacchetti in plastica che, grazie
all’aggiunta dell’Ecm Masterbatch Pellet, venivano presentati
dall’azienda Italcom come biodegradabili e compostabili. La
realtà era diametralmente opposta: i sacchetti in questione
venivano quindi presentati sotto questa veste in modo del tutto
ingannevole, inducendo in errore i Comuni italiani, gli esercizi
commerciali e le catene della Grande distribuzione che si stavano
adeguando all’entrata in vigore, il 1 gennaio 2011, del bando delle
buste.
Le sanzioni– L’Autorità ha definito
ingannevole la pubblicità di Italcom, Arcopolimeri e Ideal
Plastik, vietandone l’ulteriore diffusione e prevedendo multe di
40mila euro per la prima azienda e 20mila per le altre due.
Il commento– Verificare cosa
accade nell’ambiente di smaltimento e la tempistica di
biodegradabilità. Così Andrea Di Stefano, responsabile
affari istituzionali di Novamont (l’azienda
di Novara che produce il
Mater-bi una delle ‘nuove plastiche’ amiche
dell’ambiente), ha commentato il pronunciamento dell’Autorità
garante per la concorrenza sui bio-sacchetti che dal primo gennaio
sostituiscono quelli di plastica. Secondo Di Stefano “il
pronunciamento dell’Antitrust stabilisce che la
biodegradabilità debba essere verificata nell’ambiente, in
questo caso il compostaggio, in cui finisce il sacchetto e secondo
una determinata tempistica”, pari a una “disintegrazione del
materiale almeno del 90% e in 180 giorni”.
In particolare l’Ecm è un additivo che viene mixato all’1%
del totale della “mescola con materie plastiche tradizionali”. Ne
deriva che la busta non era biodegradabile per il restante 99%.
Secondo l’esperto di Novamont, infatti, “la biodegradabilità
non era verificata sul prodotto finito”, di conseguenza né sui
tempi né sul comportamento in un ambiente di compostaggio e
che pertanto era ‘bio’ solo nella parte addizionata.
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