Mentre l’Europa prende tempo per stringere i controlli contro il commercio illegale di legno, Albania, Bosnia e Macedonia del Nord provano a cogliere l’opportunità per fare passi avanti.
Quando l’applicazione del regolamento europeo contro la deforestazione è stato fatto slittare da fine 2024 a fine 2025, a Bruxelles qualcosa si è oscurato. Molti lo hanno preso come il primo percepibile alito del vento nuovo che oggi soffia all’interno dei confini dell’Unione europea. Una lettura politica ed europea-centrica di una decisione che ha un impatto ben più vasto, sia dal punto di vista geografico che sociale. Quando si era deciso di passare dall’Eutr (European timber regulation) all’Eudr (European deforestation regulation), infatti, si sono aumentati anche i requisiti necessari per immettere nel mercato comunitario qualsiasi prodotto potenzialmente legato al commercio di legno illegale.
Alzando l’asticella, anche se in ritardo rispetto al previsto, si era cercato di innescare a cascata dinamiche economiche, ambientali e sociali finora inedite, non tanto per chi è già nell’Unione, quanto per chi vuole entrarci non solo come attore sul mercato ma come membro. Mentre tutte le attenzioni si concentrano sul flusso di prodotti a rischio deforestazione importati dal Sudamerica, poco più a est del confine nostrum, c’è chi è in lista d’attesa per entrarci e potrebbe trasformare l’Eudr in una opportunità.
Il delicato passo da Eudr Eutr è ora in bilico
Prima di esplorare le foreste balcaniche, però, serve mettere a fuoco i confini della fase ibrida in cui si trovano le norme anti-deforestazione europee. Quella attualmente in vigore (Eutr) chiede alle aziende che introducono in Europa prodotti in legno o contenenti fibra di legno di accompagnarli con una duediligence che ne garantisca l’origine non illegale. Un pezzo di carta, a volte digitalizzato, senza alcun obbligo di controlli sul campo, se non dopo un paio di anni, a campione, e su esplicita e rara richiesta.
Approvato nel 2010 ed entrato in vigore nel 2013, questo regolamento dovrebbe lasciare il posto all’assonante Eudr, gradualmente e in due fasi: entro il 30 dicembre 2025 per le grandi e medie imprese, entro il 30 giugno 2026 per le micro e piccole imprese. Ratificata nel 2023, questa evoluzione normativa obbligherà – con dodici mesi di ritardo rispetto alle aspettative – gli operatori a fornire anche dati di geolocalizzazione, “allegandoli” al documento già previsto. Per chi non rispetta la legge, è vietato l’ingresso nel mercato comunitario e multe pari ad almeno il 4 per cento del fatturato totale delle vendite realizzate in Europa nell’anno precedente. Questo salto di qualità probabilmente aumenterà l’efficacia delle politiche di anti-deforestazione; sicuramente già da ora richiede investimenti e risorse umane che non tutti hanno. A molti dei Paesi già parte dell’Ue serve uno scatto in avanti per procurarseli per tempo, a quelli che ci stanno entrando, un salto triplo. Nel buio? Dipende: per rispondere alle nuove richieste di Bruxelles si può scegliere la strada già battuta della corruzione, oppure inaugurare quella della gestione etica delle proprie preziose risorse.
Tra i paesi posti di fronte a questo bivio ci sono Albania, Macedonia del Nord e Bosnia Erzegovina. Tutte e tre sono in attesa di entrare nell’Unione europea, ma ciascuna dovrà trovare la propria strategia di adeguamento all’Eudr. Mentre la cercano, l’Italia osserva, tentata di girarsi dall’altra parte, non del tutto consapevole del peso del proprio import di legno sulle economie di questi stati. Dei 346 milioni di euro di legno importato da paesi extracomunitari registrati nel primo quadrimestre 2024 dal settore, la percentuale in arrivo da Albania, Bosnia e Macedonia del Nord è minima. Ma per il loro export pesiamo rispettivamente l’11, il 47 per cento e il 3,5 per cento.
La radicale svolta per salvare le foreste albanesi
Nel 2020 l’Albania aveva 673mila ettari di foreste naturali; solo nel 2023 ne ha persi 2.200 e dal 2001 al 2023 46mila, soprattutto a causa della silvicoltura, secondo Global forest watch, minimo è invece il ruolo giocato dagli incendi e dalla conversione agricola.
Malgrado ciò, il paese continua ad avere la fortuna di ospitare notevoli risorse forestali sul suo territorio, ma sono “boschi al bivio”, il cui destino è legato alle fluttuazioni e pressioni politiche e sociali di una transizione economica non ancora portata a termine. Il loro degrado sta causando forti danni ambientali – al suolo, alla biodiversità e ai servizi ecosistemici – ma anche una invisibile e diffusa fragilità nella popolazione rurale.
In questo paese, gli effetti della comparsa dell’Eudr si sovrappongono a quelli della scomparsa delle foreste già in corso, mettendo in risalto criticità di governance già note. Erano infatti già emerse in occasione della decennale moratoria del 2016 che tuttora vieterebbe in toto l’export di legno e di prodotti derivati. Un provvedimento che secondo molti non ha fatto che “spingere il disboscamento illegale verso la clandestinità, in aree remote e meno controllate, adottando metodi più distruttivi”. Tra gli esperti a sostenerlo c’è Abdulla Diku della Protection and preservation of natural environment in Albania (Ppnea) che attribuisce il fallimento di questo provvedimento “all’estrema politicizzazione dell’amministrazione e al licenziamento di specialisti forestali, rimasti solo il 25 per cento del personale”.
🌳 #Deforestation in Albania & North Macedonia threatens biodiversity, including the Balkan lynx. The Northern Forests Initiative is working to restore #forests, support sustainable management, & promote regional cooperation.
— IUCN Eastern Europe and Central Asia (@IUCN_ECARO) December 6, 2024
Parla esplicitamente di “mafia del legno”, ritenendola un problema che non si risolverà con il semplice allineamento legislativo con cui l’Albania si sta limitando a reagire per avvicinarsi all’Ue e alle sue misure anti-deforestazione più severe. A suo avviso gli standard di documentazione inadeguati, i finanziamenti limitati, il personale insufficiente e le tecnologie obsolete per ora impediscono di sperare in un’applicazione dell’Eudr efficace. In futuro la situazione potrebbe cambiare, se il paese vuole esportare il proprio legno in Europa a fine moratoria, deve.
Come? “Con la riorganizzazione dell’intero servizio forestale, l’invio di professionisti certificati sul campo e un sistema di sorveglianza con droni, e regolando formalmente le attività nelle foreste (circa il 90 per cento della legna da ardere e quasi il cento per cento dei prodotti non legnosi non sono tassati o regolamentati) – propone Diku – e supportando società civile e ong perché, con il loro aiuto, la lotta contro il disboscamento illegale potrebbe creare spazio a potenziali alternative vantaggiose per ambiente e comunità locali”.
L’ecoturismo, per esempio. Con il recente e crescente interesse che l’Albania sta suscitando, soprattutto in turisti tedeschi, italiani e austriaci, perché non sfruttare i suoi paesaggi ancora rimasti verdi per avviare attività di accoglienza sostenibili? Potrebbero rappresentare nuove fonti di reddito per quella fetta di popolazione rurale oggi in parte “costretta” a deforestare per campare. Anche la stessa silvicoltura, se sana e ben integrata con l’agricoltura, potrebbe dare sostentamento, promuovendo una responsabilizzazione dei cittadini attraverso un concreto sostegno sia tecnico che finanziario.
Per allinearsi ai futuri requisiti ambientali dell’Europa, serve disegnare un percorso di trasformazione, imboccarlo è ancora possibile, ma solo compiendo una svolta radicale.
Formazione e infrastrutture per proteggere meglio il verde macedone
Anche per le foreste macedoni la “diagnosi”’di Global forest watch parla di “deforestazione”, responsabile nel solo 2023 della scomparsa 2.660 ettari di foreste, ma il quadro generale nazionale è totalmente diverso. I dati forniti dall’Agenzia forestale Penf, dal ministero dell’Agricoltura, delle Foreste e dell’economia dell’acqua (Mafwe) e dall’Ufficio statale di statistica (Sso) della Repubblica di Macedonia del Nord descrivono nell’ultimo secolo un aumento di boschi costante che ha permesso di passare dai 615.261 ettari del 1938 ai 1.001.067 del 2020 (Fao, 2020). Quel 39 per cento del territorio attualmente coperto da boschi però non basta per coprire i bisogni minimi del settore che lavora il legno proveniente da circa 100-120mila metri quadrati di territorio macedone, e il resto lo importa, lo lavora e poi lo esporta, soprattutto in Germania, Bulgaria e Grecia (Oec).
Pur totalmente differente da quella albanese, anche la dinamica di mercato della Macedonia del Nord richiede un pronto adeguamento all’Eudr in arrivo affinché il paese possa restare in gioco. Nel mercato. “Per ora non siamo obbligati ad attuare nulla, ma nella bozza di legge sulle foreste che si sta preparando, sono stati inseriti alcuni requisiti di questo regolamento – spiega Sasho Petrovski, presidente del Centro regionale per la silvicoltura e lo sviluppo rurale – per implementarlo, però, presto o tardi serviranno miglioramenti amministrativi e di controllo, attuazione e monitoraggio. Mi chiedo se siamo davvero pronti”.
Petrovski è preoccupato perché, spiega, “l’ispettorato di stato per le foreste e la caccia ha perso risorse umane, passando da 20 a 12 ispettori per la silvicoltura, e manca un’organizzazione che assuma il controllo dell’attuazione, coordinando i vari servizi doganali tra loro e con le altre istituzioni coinvolte”. A suo avviso sono necessari interventi legislativi ed economici, ma anche in formazione e innovazione tecnologica. Per evitare in futuro duri colpi all’export, nuovi sistemi di tracciamento con coordinate Gps per le foreste “da soli non basterebbero – fa notare – perché abbiamo classificazioni leggermente diverse e potrebbero diventare problematico. Sarà complesso adeguarsi e adeguare il quadro giuridico, ma potrebbe essere l’occasione per creare meccanismi più completi per il monitoraggio di legname e foreste nel settore pubblico e privato, e per attivare misure e attività per proteggere la biodiversità”.
Il Paese sta già provando a cogliere questa opportunità sfruttando i meccanismi di sostegno dell’Unione europea (Ipa) per munirsi di un sistema informativo avanzato con tanto di bolla di consegna elettronica e tracciabilità digitale “dal ceppo al consumatore finale”. Sono i primi passi ma sono ambiziosi e rappresentano secondo Petrovski “un importante cambiamento di cui già si vede un primo risultato: nell’ambito del progetto finanziato dall’Ue Sostegno alla riforma forestale nella Repubblica di Macedonia, ha ottenuto per la prima volta un certificato Pefc riconosciuto a livello internazionale”.
Più in ritardo sembrerebbero le azioni di adeguamento all’Eudr lato formazione, ma restano fondamentali perché qualsiasi intervento di altro genere attecchisca sul territorio realmente e definitivamente. Secondo Petrovski servono programmi per i dipendenti del settore forestale, ma anche per le piccole imprese che forniscano competenze, ma anche supporto digitale e operativo. Il ministero dell’Agricoltura si sta dando da fare, mentre cerca di coordinarsi al meglio con le autorità dell’Ue “per garantire un’attuazione coerente e aiutare tutte le parti interessate”.
Nonostante sembri aver imboccato una strada promettente, la Macedonia conosce le sfide che la aspettano e sa che sono numerose. Petrovski cita subito quella delle infrastrutture e delle competenze informatiche, tuttora entrambe fortemente carenti, ma non sottovaluta l’esigenza di progressi amministrativi, soprattutto quanto a “coordinamento tra i diversi enti e applicazione coerente dei nuovi requisiti”. Riconosce la complessità dei passi da compiere ma ritiene che i vantaggi potrebbero essere tripli: economici, ambientali e sociali. “Ci saranno nuove opportunità di accesso al mercato Ue per le nostre aziende, e nuovi posti di lavoro nei ruoli di monitoraggio e conformità, ma mi auguro vengano anche migliorate le strategie di protezione delle foreste e della biodiversità – spiega – ci creerebbe così spazio per sviluppare pratiche di gestione delle risorse più sostenibili, che ci aiutano ad affrontando le conseguenze del cambiamento climatico a beneficio delle generazioni future”.
In Bosnia Erzegovina, la protettrice delle foreste è la società civile
In cammino verso l’Ue dal 2008 e ufficialmente candidata ad entrarvi dal 2022, la Bosnia Erzegovina del 2023 registrato una copertura forestale su quasi la metà del proprio territorio, ma negli ultimi dodici mesi ha perso circa 4.000 ettari, soprattutto a causa della deforestazione, anche di quella illegale.
I diagrammi di Global forest watch mostrano infatti un evidente picco, malgrado il paese abbia già iniziato ad attuare per lo meno ufficialmente anche molti degli obblighi previsti dall’Agenda verde per i Balcani occidentali, oltre a quelli in chiave Eudr. Secondo la giornalista ambientale Sanja Mlađenović Stević, il problema principale è “la sovrapposizione confusa di diverse strategie derivante dal complicato assetto giuridico dello Stato. Nonostante gli sforzi fatti, abbiamo ancora di fronte numerose sfide che rendono difficile una concreta implementazione dei regolamenti. Rischiamo di sistemarli solo sulla carta“.
One man’s lifelong love affair in the mountains of Bosnia and Herzegovina is helping to save Europe’s oldest tree species – and offering a much-needed solution that works #ForPeopleForPlanet.
I principali ostacoli che Mlađenović Stević ha identificato parlando con vari esperti di politiche forestali macedoni sono “la complessità amministrativa e la totale mancanza di responsabilità da parte del governo nazionale e della stessa popolazione, ma soprattutto degli investitori stranieri”. Parla esplicitamente di “corruzione e interessi politici personali” e di “investimenti audaci a scapito delle risorse naturali la cui protezione, per chi governa, non è una priorità”. La pungente fame di materie prime critiche e di legno da parte del mercato non solo europeo rendono difficile immaginare che una normativa non ancora in vigore come l’Eudr possa portare cambi radicali in un Paese che non è ancora formalmente obbligato ad aderirvi.
Tra speranze e timori, per difendere le proprie foreste la Bosnia Herzegovina può contare su un prezioso alleato che non tutti gli altri Paesi Balcanici hanno: la società civile. “Di fronte all’incapacità o la non volontà delle autorità a tutti i livelli di proteggere le risorse naturali, cittadini e associazioni non stanno in silenzio a guardare ma sono entrambi molto attivi” afferma Mlađenović Stević. Lo confermano le varie battaglie legali vinte tra cui quella dei due 25enni che si sono opposti alla costruzione di nuove centrali idroelettriche sul fiume Kasindolska. Quando la società bosniaca Buk controllata dalla belga Green Invest li ha querelati chiedendo 7.500 euro di danni, l’opinione pubblica si è sollevata in loro difesa: oltre 150 associazioni e un pioggia di lettere e appelli ha bloccato le querele.
Mentre chi la governa non colma le proprie carenze e stenta a migliorare il sistema di gestione delle risorse naturali, in Bosnia Herzegovina c’è una grande parte di popolazione che continua a vedere nelle foreste un grande potenziale di sviluppo.
Mlađenović Stević
“La futura attuazione dell’Eudr sembra informalmente nelle mani delle organizzazioni non governative – conclude Mlađenović Stević – fortunatamente nella rete EkoBiH ce ne sono oltre quaranta, tutte ambientaliste, e stanno apportando significativi cambiamenti positivi. Per loro e per una parte del Paese la lotta per la protezione della natura è e resterà una priorità e hanno già dimostrato più volte di non mollare e saper vincere”.
Questo articolo è stato prodotto nel quadro dei Thematic Networks di Pulse ( coordinati da n-ost e Obct) un’iniziativa di giornalismo transfrontaliero collaborativo per promuovere una sfera pubblica europea più vivace.
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