
Secondo il primo studio a indagare le cause del crollo della Marmolada, costato la vita 11 persone, l’evento è dovuto in gran parte alle alte temperature.
Secondo uno studio condotto da Chatham House e dall’Università di Glasgow le persone sarebbero propense a ridurre il consumo di carne per motivi di salute e per ridurre l’impatto ambientale.
Può (quello che consideriamo) il nostro pranzo contribuire a spingere il pianeta nel baratro? Sì, se il nostro pasto è composto da carne. L’allevamento del bestiame produce più emissioni dell’intero settore dei trasporti, gli allevamenti genererebbero 32 miliardi di tonnellate di CO2 l’anno, il 51 per cento delle emissioni di gas serra a livello mondiale, mentre le industrie di latticini e carne usano il 30 per cento di tutta l’acqua dolce del mondo.
La scarsa consapevolezza dell’opinione pubblica dell’impatto della carne costituisce il principale ostacolo per contrastare il fenomeno. Per arginare la deforestazione e ridurre l’impatto dei trasporti i governi hanno preso importanti provvedimenti, mentre c’è un divario enorme per quanto riguarda il settore zootecnico.
Questo fenomeno potrebbe essere in parte arginato tassando la carne, aumentando il cibo vegetariano destinato alle scuole, agli ospedali e alle forze armate e tagliando i sussidi agli allevatori, il tutto supportato da campagne di informazione.
Secondo una ricerca condotta da Chatham House, associazione indipendente britannica, e dall’Università di Glasgow, i cittadini accetterebbero di buon grado queste restrizioni se considerate di interesse pubblico, come ad esempio il divieto di fumare all’interno dei locali. La ricerca ha coinvolto dodici paesi, tra cui Stati Uniti, Brasile, Cina e Regno Unito, ed è stata realizzata utilizzando sondaggi e focus group.
“La nostra ricerca dimostra che eventuali timori da parte dei governi di interventi di questo tipo sono infondati – ha dichiarato Laura Wellesley, autrice dello studio – i cittadini si aspettano che la politica sappia intraprendere soluzioni di interesse globale”.
Si calcola che agli attuali livelli, se non ci sarà un’inversione di tendenza, il consumo di carne crescerà del 75 per cento entro il 2050. Questa crescita renderebbe praticamente impossibile l’obiettivo di mantenere al di sotto dei due gradi centigradi l’aumento della temperatura globale.
Nelle nazioni sviluppate il consumo di carne è già ben oltre i livelli definiti “sani” ed è legato ai tassi crescenti di malattie cardiache e di cancro. Anche l’Oms, lo scorso ottobre, ha inserito le carni rosse lavorate nella lista dei cancerogeni.
Secondo la ricerca se la popolazione mondiale riducesse il consumo a circa 70 grammi al giorno, si ridurrebbero le emissioni di carbonio di un importo equivalente alla produzione annuale degli Stati Uniti, il secondo paese al mondo per emissioni.
L’imminente vertice Onu sul clima di Parigi potrebbe lo scenario adeguato per affrontare l’impatto climatico generato da un certo tipo di alimentazione. Secondo lo studio ridurre drasticamente il consumo di carne sarebbe il modo più semplice e meno costoso tagliare le emissioni di CO2, ma le azioni per raggiungere questo obiettivo sono ad oggi inesistenti.
Postilla, nessuno degli autori dello studio è vegetariano o vegano, è però necessario “far comprendere all’opinione pubblica che la produzione industriale di carne non è pericolosa solo per la propria salute, ma per l’ecologia umana nel suo complesso”, ha spiegato Greg Philo, ricercatore della Glasgow University.
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