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Nell’ultimo attacco alla libertà di espressione in Turchia, tre professori universitari che hanno firmato una petizione di pace nel gennaio 2016 sono stati incarcerati da un tribunale di Istanbul con l’accusa di propaganda terroristica. I tre sono stati arrestati il 15 marzo 2016, in attesa del completamento dell’indagine penale. Le forze di sicurezza hanno chiesto pene detentive
Nell’ultimo attacco alla libertà di espressione in Turchia, tre professori universitari che hanno firmato una petizione di pace nel gennaio 2016 sono stati incarcerati da un tribunale di Istanbul con l’accusa di propaganda terroristica. I tre sono stati arrestati il 15 marzo 2016, in attesa del completamento dell’indagine penale. Le forze di sicurezza hanno chiesto pene detentive fino a 7 anni e mezzo di carcere. L’udienza del processo è fissata per il 22 aprile.
Intanto altri 30 accademici sono stati licenziati e 27 sospesi dalle loro università in attesa di indagini. Il procuratore di Istanbul, Irfan Piantine, li ritiene responsabili di crimini di terrorismo e sta conducendo una indagine penale contro tutti gli studiosi che hanno firmato la petizione.
Parliamo di 1.128 accademici appartenenti a 89 università diverse che hanno firmato la petizione Non faremo parte di questo crimine. Resa pubblica in una conferenza stampa a Istanbul il 11 gennaio, la petizione aveva invitato a riprendere i colloqui di pace con il Partito curdo dei lavoratori (Pkk), organizzazione politica curda, sostenendo che “lo Stato turco ha di fatto condannato alla fame i suoi cittadini a Sur, Silvan, Nusaybin, Cizre, Silopi, e di molte altre città e quartieri nelle province curde attraverso l’uso di coprifuoco inaccettabili in corso da settimane”, come riporta il testo della petizione. Inoltre questi insediamenti verrebbero attaccati “con armi pesanti e attrezzature utilizzati solo in tempo di guerra”. Di conseguenza “il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza, e in particolare il divieto di tortura e maltrattamenti previsti dalla costituzione e dalle convenzioni internazionali, sono stati violati”.
“Quella del presidente turco Recep Tayyp Erdogan è una feroce battaglia per silenziare tutte le voci critiche in Turchia”, ha detto Emma Sinclair-Webb, ricercatrice di Human rights watch in Turchia. “I pubblici ministeri e i tribunali dovrebbero rispettare e proteggere la libertà di parola e lo stato di diritto, facendo cadere immediatamente tutte le misure punitive contro coloro che hanno firmato la dichiarazione”.
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