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Cambiamento dei sistemi naturali, inquinamento e riscldamento globale: sono le tre principali minacce per gli uccelli nidificanti in Italia.
Sulle 278 specie di uccelli che nidificano nel nostro Paese, circa una su quattro è in pericolo di estinzione. È quanto emerge dalla Lista rossa sugli uccelli nidificanti in Italia, che il Comitato italiano dell’Unione mondiale per la conservazione della natura (Iucn) ha aggiornato a sette anni di distanza dalla precedente edizione. La valutazione, che si basa sui criteri internazionali Iucn, è stata realizzata da Federparchi e dal ministero dell’Ambiente, con il contributo scientifico di Ispra e Lipu. Ha coinvolto l’intera popolazione di tutte le specie (stanziali e migratorie) che nidificano nel nostro Paese, che sono poco più della metà sulle circa 500 che sono state segnalate sul territorio, a riprova di una biodiversità tra le più ricche in Europa.
C’è il voltolino, rallide di piccole dimensioni che ama stare nascosto tra i canneti. La bigia padovana, che a dispetto del nome è diffusa in tutt’Europa, ma nel nostro Paese occupa soprattutto la Pianura Padana. Il falco pescatore, grande rapace scuro dall’apertura alare di oltre un metro e mezzo. E poi la schiribilla, il cormorano atlantico, il mignattino comune, il gipeto, il capovaccaio, la forapaglie comune, il migliarino di palude. Sono queste dieci le specie di uccelli classificate come “in pericolo critico” dall’Iucn. Altre cinque risultano estinte, di cui una (il gobbo rugginoso) in tempi recenti.
Proprio allo studio del falco pescatore si sta dedicando Giampiero Sammuri, biologo, presidente di Federparchi e del parco nazionale Arcipelago Toscano. “In realtà questa specie si era estinta in Italia, con l’ultimo nido nel 1969. A partire dal 2006 però è partito un progetto di reintroduzione con falchi pescatori provenienti dalla Corsica e nel 2011 c’è stata la prima nidificazione dopo 42 anni. In questo momento ci sono sei coppie nidificanti in tutt’Italia: basta un niente perché si ritorni all’estinzione”, racconta a LifeGate.
Sommando le specie in pericolo critico, quelle in pericolo e quelle vulnerabili si arriva a un totale di 67, con un miglioramento rispetto alle 76 che erano state registrate nel 2012. Applicando i dovuti correttivi statistici per tenere in considerazione anche i casi in cui i dati sono insufficienti, l’Iucn arriva a sostenere che il 25,7 per cento delle specie di uccelli nidificanti in Italia siano in qualche misura in pericolo. È in parte una buona notizia, perché nel 2012 le specie a rischio erano 76: nello specifico, da allora 17 specie non sono più ritenute a rischio estinzione mentre altre sei sono state catalogate in una categoria di rischio maggiore.
A livello numerico, nel loro complesso le popolazioni di uccelli nidificanti risultano stabili (28 per cento) o in aumento (34 per cento). Il 24 per cento delle specie sta subendo un calo demografico, mentre non esistono dati attendibili sul restante 14 per cento. Si assiste a un declino demografico soprattutto nelle praterie, a causa del progressivo abbandono di pascoli e terreni agricoli, mentre foreste e zone umide sono sempre più popolate.
Al primo posto tra le minacce per gli uccelli nidificanti c’è il cambiamento dei sistemi naturali, seguito da inquinamento, cambiamenti climatici, agricoltura e acquacoltura. Marginale, invece, l’impatto delle specie aliene invasive.
Ma, nel concreto, come incide il riscaldamento globale sulla sopravvivenza dei volatili? “In montagna, per esempio, le specie vegetali sono le prime a risentire dell’aumento delle temperature e si spostano sempre più in alto”, risponde Giampiero Sammuri. “Quando non hanno più spazio per salire di altitudine, le piante destinate ai climi più freschi riducono il proprio areale a vantaggio delle altre. Chiaramente su di loro si era insediata una comunità di animali, che parte dai più piccoli (invertebrati e insetti) e arriva agli uccelli, che si nutrono proprio di insetti. A causa di questo fenomeno, quindi, alcune specie vedono ridursi le proprie possibilità di vivere, alimentarsi e riprodursi”. Risultano particolarmente vulnerabili – continua – anche le specie che popolano le zone umide. Soprattutto le paludi, che si riscaldano loro stesse e diventano sempre più secche.
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