Il cantiere della diga di Belo Monte che sommergerà i Kayapó

La diga di Belo Monte si farà, anzi si fa. I ricorsi delle comunità indigene e delle organizzazioni ambientaliste non sono bastati a fermare i lavori.

I lavori della controversa diga di Belo Monte, sul fiume Xingu in Brasile, stanno procedendo velocemente. Circa 25mila persone lavorano giorno e notte per far sì che entro il 2015 la centrale idroelettrica possa iniziare a produrre i primi watt di elettricità.

 

I numeri di Belo Monte

Il quotidiano francese Le Monde ha realizzato un’inchiesta e un reportage fotografico piuttosto duro sul più grande progetto energetico messo in piedi da Norte Energia e dal governo della presidente Dilma Rousseff che, per realizzarla, ha investito oltre di 10 miliardi di euro. Un reportage che mostra l’impatto dell’opera sull’habitat e sulla biodiversità. Lo sbarramento principale è largo 3,5 chilometri, il canale artificiale è lungo 20 chilometri e la sua capacità è di 516 chilometri cubi di acqua che devono alimentare 18 turbine entro i prossimi cinque anni.

La terza diga al mondo

A regime, la diga avrà una capacità di 11.233 megawatt (MW) in grado di soddisfare il fabbisogno elettrico di 18 milioni di abitanti, pari a un quinto della nuova domanda di energia del Brasile. Quella di Belo Monte sarà la terza diga più grande al mondo dopo le Tre gole, in Cina (22.720 MW), e Itaipu (14mila MW) che si estende tra Brasile e Paraguay.

 

Le decine di ricorsi depositati dalle organizzazioni non governative e dalle associazioni ambientaliste che difendono le comunità indigene non sono serviti a nulla se non ad allungare i tempi previsti inizialmente dal governo brasiliano. Un ritardo calcolato in circa 60 giorni da José Biagioni de Menezes (nella foto in alto), 62 anni, responsabile del progetto.

 

Il mondo deve sapere cosa sta succedendo qui, devono capire che distruggere le foreste e le comunità indigene significa distruggere il mondo (Capo della tribù Kayapó)

 

Un habitat a rischio

La linea è stata così tracciata. Da una parte rimangono quelli soddisfatti perché pensano che il Brasile, settima economia mondiale, ha bisogno di continuare a crescere per creare nuovi posti di lavoro ed eliminare la povertà. Dall’altra ci sono coloro che ritengono inaccettabile il costo pagato dalle migliaia di persone che da secoli abitano le rive del bacino amazzonico del fiume Xingu. Un’area fondamentale per il benessere del continente sudamericano e uno dei polmoni del pianeta.

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