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Videoarte, alla scoperta dei maestri delle opere a misura di schermo

La videoarte rinasce con la digitalizzazione della cultura. Esploriamo le sue radici attraverso i videoartisti più celebri e importanti.

Provocatoria, irriverente, fantasiosa. Così strana e astratta, a volte, da essere considerata troppo difficile da capire, soprattutto per il grande pubblico. Ma se ci lasciamo catturare dalla videoarte, fatta di immagini, suoni e forme alternative di narrazione, possiamo aprire gli occhi e soprattutto la mente su nuovi orizzonti. Questa forma d’arte è resa possibile dalla tecnologia ed è nata proprio con la commercializzazione dei videoregistratori e dei televisori a partire dagli anni Sessanta, diventando nel tempo sempre più sofisticata grazie all’utilizzo di strumenti all’avanguardia.

videoarte, TeamLab Borderless a Tokyo
Team lab Borderless a Tokyo © Mara Budgen

La videoarte oggi si manifesta attraverso una varietà di mezzi e supporti, approdando anche negli ambiti della realtà virtuale, dei videogame e delle applicazioni per smartphone. Negli ultimi anni, ha ricevuto sempre più sostegno e riconoscimento da parte delle istituzioni e del mercato dell’arte, come i musei e le gallerie che hanno investito nello sviluppo di nuove metodologie per avvicinare il pubblico alle sue opere, ottenendo risultati importanti. Nel 2018, lo spazio Borderless di Tokyo, in Giappone, del collettivo Team lab – che utilizza le tecnologie più avanzate nell’ambito del video, del suono e delle luci – è diventato il museo dedicato a un singolo artista più visitato al mondo, con 2,3 milioni di visitatori nel primo anno dalla sua inaugurazione. Prima di fare fast forward al giorno d’oggi, però, scopriamo alcuni degli artisti che hanno gettato le fondamenta della videoarte.

I videoartisti più importanti

Nam June Paik

La pelle umana non è più adatta a interagire con la realtà. La tecnologia è diventata la nuova membrana del nostro corpo in relazione con l’esistenza.

Nam June Paik

Nam June Paik (1932–2006), considerato uno dei fondatori della videoarte, è stato il primo a trasformare il televisore in un’oggetto d’arte. Nato a Seul, nella Corea del Sud, ha lasciato il suo paese durante la guerra di Corea degli anni Cinquanta e dopo aver vissuto a Hong Kong e a Tokyo, è venuto a contatto con le avanguardie e le subculture degli anni Sessanta sia nella Germania dell’Ovest che negli Stati Uniti, soprattutto a New York. Fondamentale fu l’incontro con la violoncellista americana ed esponente della musica d’avanguardia Charlotte Moorman, con cui Paik collaborò per tre decenni, dagli anni Sessanta ai primi anni Novanta, nella realizzazione di alcune delle sue opere più celebri.

In Tv bra for living sculpture del 1969, Moorman suona il violoncello nuda con due televisori sul seno, e in Tv-cello del 1971, suona un violoncello fatto di televisori i cui schermi trasmettono, a loro volta, una registrazione di Moorman. Così, Paik stabilì fin da subito la relazione fondante tra la videoarte e le arti performative. Celebri sono anche le sue grandi installazioni, vere e proprie sculture realizzate con molteplici televisori che trasmettono i video sperimentali e a volte astratti realizzati dall’artista e che vengono messi insieme per creare figure e ambientazioni riconoscibili, come la forma degli Stati Uniti d’America o l’aspetto di un giardino. Paik è stato un maestro nell’esplorare le molte dimensioni fisiche e sensoriali della videoarte, dandole il carattere immersivo che la contraddistingue.

videoarte, Electronic superhighway di Nam June Paik
Electronic superhighway: continental US, Alaska, Hawaii. L’installazione di Nam June Paik del 1995 esprime il potenziale dei mezzi di comunicazione nel connettere il mondo intero © Cea +/Flickr

Bill Viola

Non si può parlare di videoarte senza citare Bill Viola, riconosciuto come uno dei suoi massimi esponenti grazie ai messaggi profondi delle sue opere e alle sue abilità tecniche. L’artista americano nato a New York nel 1951 ha delineato un nuovo spazio per il video nel mondo dell’arte, proponendolo come uno strumento dal grande potenziale espressivo e, allo stesso tempo, riflessivo nell’esplorare temi universali quali la nascita, la morte e l’amore ispirandosi a religioni e culture diverse come il buddismo Zen e il sufismo, ovvero la dimensione mistica dell’Islam. Forte è anche il legame con l’arte rinascimentale italiana, la cui iconografia esercita un’influenza importante sulla produzione artistica di Viola, che iniziò la sua carriera come videoartista proprio a Firenze, dove visse tra il 1974 e 1976.

L’aspetto fondamentale del video non sono le immagini, per quanto possiamo meravigliarci di come possono essere manipolate digitalmente… La sua essenza, a mio avviso, è il movimento, cioè quel qualcosa che esiste in un momento e si trasforma il momento dopo.

Bill Viola

videoarte, Mary di Bill Viola
L’opera Mary di Bill Viola in mostra alla cattedrale di San Paolo a Londra nel 2016 © Carl Court/Getty Images

Le opere di Viola sono spesso immagini al rallentatore proiettate in location storiche e suggestive – come la cattedrale di San Paolo a Londra, Palazzo Strozzi a Firenze e la chiesa di San Sepolcro a Milano. La lenta progressione dei filmati permette allo spettatore di coglierne tutte le sfaccettature e i significati e di immergersi in quelli che sono veri e propri quadri viventi. Tema portante è il confronto tra l’essere umano e gli elementi naturali. In The crossing del 1996, una doppia immagine mostra un uomo che viene divorato dalle fiamme e, contemporaneamente, sommerso dall’acqua. In The raft del 2004, un gruppo di persone viene colpito da forti getti d’acqua. Nantes triptych del 1992 mette a confronto l’immagine di una donna che partorisce, una signora anziana che muore e, nel centro, un uomo che fluttua, sospeso nell’acqua; simbolo di come siamo intrappolati tra la vita e la morte, due fatti inevitabili dell’esistenza.

Pipilotti Rist

Nata nel 1962 con il nome Elisabeth Charlotte Rist, la videoartista svizzera Pipilotti Rist – fortemente influenzata da Paik – è considerata una delle esponenti più importanti della videoarte, apprezzata per le sue opere colorate, divertenti, fortemente espressive e capaci di entrare in relazione anche con il grande pubblico. Prima degli studi in arte a Vienna e a Basilea, Rist adottò il nome Pipilotti, una combinazione tra quello del celebre personaggio di fantasia Pippi calzelunghe e “Lotti”, il soprannome dell’artista quando era bambina; un nome che simboleggia l’ironia e lo spirito giocoso dell’artista, e il suo interesse per la cultura popolare e il ruolo delle donne nella società. Il successo di Rist venne, infatti, con l’opera I’m not the girl who misses much del 1986, una critica femminista della rappresentazione del corpo femminile nella cultura pop.

Rist è autrice di proiezioni grandi e piccole, manipola digitalmente i filmati per esagerare la saturazione dei colori e distorcere le immagini accompagnate spesso da suoni e musica. Per questo, le sue opere vengono spesse paragonate ai video musicali. In Sip my ocean del 1996, immagini dell’oceano vengono alternate con primi piani di donne in bikini e trasmesse su due grandi pareti a specchio. Pour your body out (7534 cubic meters) è una proiezione a caledoscopio pensata appositamente per riempiere le proporzioni spaventose – appunto 7.534 metri cubi – dell’atrio del secondo piano del Moma, il museo di arte moderna di New York. In mostra nel 2008, l’opera ha attratto oltre 6mila visitatori al giorno.

(La videoarte è come una grande borsa): c’è spazio per tutto: la pittura, la tecnologia, il linguaggio, la musica, il flusso di immagini, la poesia, la commozione, la premonizione della morte, il sesso e l’amicizia.

Pipilotti Rist

videoarte, Mercy garden retour skin di Pipilotti Rist
L’opera di Pipilotti Rist, Mercy garden retour skin, alla Biennale di Sydney, in Australia, nel 2014 © Mark Metcalfe/Getty Images

La videoarte adesso

Paradossalmente, in questo momento difficile per il mondo dell’arte, con la chiusura di musei e luoghi di cultura a causa della pandemia da coronavirus, la videoarte sta attraversando un piccolo rinascimento. Le istituzioni artistiche hanno aperto le loro porte ai visitatori grazie alla realizzazione di mostre e visite in formato digitale, e la forma d’arte che più si presta a colmare il distacco tra il mondo fisico e quello virtuale è proprio la videoarte.

Se da un lato vengono a mancare il suo carattere teatrale e le sue dimensioni fisiche (pensiamo ad esempio alle sculture di televisioni di Nam June Paik), le sue opere sono ideate proprio per gli schermi, e quindi possono arrivare direttamente alle persone attraverso televisori, computer e telefoni. Un’intuizione che di fatto precede la pandemia, come dimostra l’artista britannico Steve Cutts, illustratore conosciuto per i suoi video, critiche pungenti della società moderna, condivisi direttamente online. Il potenziale della videoarte in questo momento storico è stato colto da musei come il Whitney museum of american art di New York che di recente ha trasmesso le opere di diversi videoartisti, e personaggi come la collezionista tedesca Julia Stoschek che ha condiviso online più di settanta video opere della sua collezione. Il suo obiettivo, dice, è quello di “rendere l’arte accessibile a tutti, sempre e ovunque”, e quindi continuare ad ampliarne gli orizzonti.

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