Guida autonoma. Un’antropologa americana sta insegnando alle auto a convivere con l’uomo e l’ambiente.

Di guida autonoma sentiremo parlare sempre più spesso. Auto che guideranno da sole, che parcheggeranno da sole. Bambini, anziani, persone con disabilità o mobilità ridotta che fino ad oggi non possono mettersi al volante, potranno farlo, senza guidare ovviamente. Ma godendosi il viaggio. Insomma, la guida autonoma sarà la vera rivoluzione della mobilità. I problemi da

Di guida autonoma sentiremo parlare sempre più spesso. Auto che guideranno da sole, che parcheggeranno da sole. Bambini, anziani, persone con disabilità o mobilità ridotta che fino ad oggi non possono mettersi al volante, potranno farlo, senza guidare ovviamente. Ma godendosi il viaggio. Insomma, la guida autonoma sarà la vera rivoluzione della mobilità. I problemi da risolvere al momento sono molti e hanno più a che fare con l’ambiente e la società. Ma i progetti ormai sono concreti. La Germania, per esempio, ha dichiarato che nel 2020 sulle sue autostrade la guida autonoma sarà già realtà. Persino noleggiare un veicolo autonomo sarà presto possibile, almeno in Pennsylvania, a Pittsburgh, dove Uber renderà operativo il servizio entro pochi anni. Costruttori come Nissan, appena premiata proprio per tecnologia della guida autonoma con il Japan Car of the Year Innovation Award 2016-2017, grazie alla tecnologia ProPilot, entro quattro anni lanceranno le prime auto senza conducente.

Melissa Cefkin
Melissa Cefkin, ricercatrice e antropologa del Nissan Research Center della Silicon Valley, studia il comportamento delle persone in relazione al traffico e alla strada. La guida automa? “Solo imparando dall’uomo le macchine potranno guidare da sole”.

In che modo l’antropologia può aiutare lo sviluppo della guida autonoma?
Lo abbiamo chiesto a Melissa Cefkin, ricercatrice e antropologa del design presso il Nissan Research Center di Sunnyvale, nella Silicon Valley californiana. Perché progettare un veicolo autonomo del futuro richiede l’apporto dei migliori talenti, provenienti da aree anche molto diverse: informatici per lo sviluppo del sofisticato software, ingegneri, esperti di tecnologia e di intelligenza artificiale. Insomma, le professioni impegnate per lo sviluppo del futuro della mobilità sono molteplici.
Ma una professione che difficilmente ci si potrebbe aspettare di trovare nel team Nissan impegnato nello sviluppo della guida autonoma è quella dell’antropologo. Che, invece, sta giocando un ruolo chiave nello sviluppo di veicoli autonomi di nuova generazione, perché proprio attraverso l’antropologia è possibile analizzare le interazioni fra un’auto a guida autonoma e l’uomo, inteso come tutte le attività umane che popolano strade e città del mondo. Strade e città che, come gli “usi e i costumi” variano molto a seconda delle società e dei continenti. Pensate a una strada di Palermo e a una di  Tokyo. Alla guida a destra dei paesi anglosassoni. Ai comportamenti di guida nell’ora di punta o in un tranquillo weekend.

Come faranno i veicoli a guida autonoma a riconoscere le culture locali?
La tecnologia nell’auto è in continua e veloce evoluzione. L’auto sta entrando in una nuova dimensione, sempre più autonoma, che porterà profondi cambiamenti nella società. Non sarà solo lo scenario metropolitano a cambiare, ma anche il modo in cui interagiamo e ci comportiamo quando siamo su una strada. E ogni realtà, ha le sue regole, i suoi usi. Per questo con il mio team analizziamo il comportamento delle persone, come camminano, guidano, interagiscono con l’ambiente. Le auto dovranno capire le differenze di comportamenti fra le diverse società. E capire ciò che è giusto e cosa no, proprio partendo dalle peculiarità culturali.

Nissan guida autonoma
Oltre il 90 per cento degli incidenti stradali sono causati da errori umani. Uno degli obiettivi del progetto Nissan Autonomous Drive è proprio quello di contribuire, attraverso la guida autonoma, a creare una “società senza incidenti”, eliminando l’errore umano durante la guida.

L’antropologia come anello di congiunzione tra l’uomo e la macchina?
Il nostro rappresenta un esempio di impiego dell’antropologia decisamente poco noto, almeno nel mondo della mobilità. In particolare noi ci occupiamo di etnografia, ossia dello studio sistematico delle persone e delle culture dal punto di vista dell’osservatore. Nel caso dei veicoli a guida autonoma significa comprendere attraverso nuove metodologie come gli esseri umani interagiscono con un oggetto profondamente culturale – l’automobile appunto – e come i loro comportamenti possono essere influenzati dalle nuove tecnologie legate all’auto. Il problema più grande? L’insieme di interazioni, comportamenti ed eventi che si verificano sulle nostre strade non si può racchiudere in un algoritmo, telecamera e sensori da soli non bastano. L’auto dovrà capire le dinamiche umane, per questo l’antropologia può aiutarci molto.

Nel traffico molte cose sono imprevedibili, proprio come l’uomo…
Dal 2015, quando è cominciato il progetto qui al Nissan Research Center, il mio compito e del mio team è diventato proprio quello di documentare non solo le interazioni che nelle città coinvolgono i conducenti, ma anche quelle che si creano fra veicoli, pedoni, ciclisti e le caratteristiche della strada e dell’ambiente circostante. Una missione non facile. Stiamo cercando di capire, attraverso il nostro lavoro, tutto ciò che un veicolo avrà bisogno di sapere per potersi muovere autonomamente nelle città del futuro. Ossia ciò che percepisce del mondo circostante e come potergli dare un senso. E per farlo, osserviamo il comportamento delle persone nei loro spostamenti, in auto, a piedi, in bicicletta.

In uno scenario futuro un’auto dovrà poter formulare giudizi, prendere decisioni. Come?
Infatti. I veicoli autonomi dovranno vedersela con le molteplici situazioni a cui ogni automobilista è chiamato a far fronte oggi: fermarsi a uno stop se una persona è in procinto di attraversare, dare la precedenza a un incrocio o capire quali saranno le prossime mosse di un ciclista. Pensiamo al caso emblematico dell’intersezione a quattro vie con altrettanti segnali di stop, come accade spesso sulle strade americane. Per un veicolo autonomo sarebbe una situazione molto problematica da affrontare, ma anche un caso incredibilmente interessante come argomento di studio. Il problema è che in casi come questi il possibile comportamento è aperto a molte interpretazioni e le variabili possibili sono numerose.

Se non ci sarà nessuno al volante, chi comunicherà con l’ambiente circostante?
La comunicazione fra veicoli e persone nelle città oggi avviene spesso in modo difficilmente decifrabile da un computer; gli studi condotti fino ad ora mostrano come conducenti, pedoni e ciclisti spesso usino sguardi, gesti e forme di “comunicazione diretta”, come appunto il gesto di una mano, o uno sguardo, per mandare segnali molto chiari circa le loro intenzioni. Questo è lo scoglio più grande per un’auto a guida autonoma, ossia l’apprendimento delle diverse forme di comunicazione umane. Uno scenario potrebbe essere quello che i veicoli autonomi imparino a comunicare le loro azioni, mostrando attraverso segnali visivi o acustici le loro intenzioni.

Questo video è vicino a una possibile realtà?
Proprio alcune delle funzioni rappresentate nel video potrebbero essere molto simili a quelle dei veicoli autonomi Nissan del prossimo decennio. Il mio team sta studiando come fare in modo che l’auto del futuro comunichi le sue intenzioni, oltre che alle altre auto, anche ai pedoni o ai ciclisti con messaggi chiari: “auto ferma”, “sto girando a destra”, “sto parcheggiando”, in modo che l’azione possa essere interpretata nello stesso modo da tutti. E la scelta di Nissan di coinvolgere degli antropologi nelle prime fasi di progettazione dei veicoli autonomi è fondamentale. Il nostro vantaggio è che in questo modo possiamo indagare sin dall’inizio e profondamente questi temi, il che ci permette di comprendere meglio come le auto del futuro potranno integrarsi con le pratiche umane e divenire parte dell’esperienza umana stessa.

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