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Ecco le persone chiave che hanno scritto la storia della Cop 21 di Parigi. Non sempre a favore del clima.
Dietro ai negoziati che hanno visto al lavoro a Le Bourget giorno e notte per tredici giorni 19.385 delegati di 195 Paesi in 2.500 meeting, ci sono alcuni protagonisti che hanno avuto un ruolo di spicco . Molti si sono impegnati per trovare accordi coraggiosi, altri hanno frenato, rischiando di far fallire per l’ennesima volta la conferenza sul clima.
“Vorrei che tutti coloro che hanno partecipato a raggiungere questo traguardo fossero presenti qui oggi”, dalle parole usate da Laurent Fabius per presentare l’Accordo di Parigi raggiunto il giorno dopo la chiusura della Cop 21 traspare la presenza, l’opera, lo sforzo di molti, molti protagonisti. Ecco le figure chiave.
L’espressione “climate justice”, giustizia climatica, ha iniziato a diffondersi nel 2009, quando la campagna Tck Tck Tck lanciata dall’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan parlò per prima di questo concetto fino ad allora sconosciuto. Ora tutti sanno che i paesi meno responsabili delle emissioni di CO2 sono anche quelli che più ne pagano le conseguenze negative.
Anote Tong è il presidente dell’arcipelago di Kiribati dal 2003, quando ancora il Protocollo di Kyoto non era entrato in vigore. Anno dopo anno è riuscito a portare le istanze degli stati isola – che rischiano di scomparire dalle carte geografiche – nei maggiori consessi internazionali, dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite al parlamento europeo. Se è stata menzionata la soglia degli 1,5 gradi nell’Accordo di Parigi, è anche grazie a lui.
“Ci rifiutiamo di morire”, hanno detto a gran voce gli indigeni arrivati fino a Parigi per far sentire la loro voce ai grandi della Terra. Tra questi c’era anche Diana Rios, una ragazza il cui padre è stato ucciso da criminali senza scrupoli mentre difendeva la foresta amazzonica. Anche lei è stata minacciata di morte per aver deciso di partecipare alla Cop 21.
È la donna che raccoglie le voci delle donne. È stata alla Cop 21 per far capire quanto sia importante raggiungere la parità di genere anche nella lotta ai cambiamenti climatici. Non è un caso che abbia scelto il padiglione del Marocco, il paese della Cop 22, per portare avanti la sua missione. Uno stato africano a maggioranza musulmana che ha deciso di puntare sulle energie rinnovabili e sui diritti delle donne per crescere.
Presidente della Cop 17 di Durban, la conferenza del 2011 che diede vita all’Ad hoc working group on the Durban platform for enhanced action, il gruppo di lavoro che ha sovvertito i negoziati sul clima portando agli Indc, ovvero le promesse di riduzione della CO2 su base volontaria inviate dai paesi all’Unfccc. Promesse che sono oggi la base, la sostanza dell’Accordo di Parigi.
C’è poco da dire. Il capo della delegazione saudita nonché ministro del Petrolio di Riyad è il vero responsabile del prolungamento dei negoziati – che sembravano scorrere lisci come l’olio (nero) – oltre la data di fine prevista inizialmente. Sempre “grazie” a lui, il termine “decarbonizzazione” è sparito dall’accordo.
È stato il capo della delegazione di Nuova Delhi. Insieme all’Arabia Saudita, l’India è stata fino all’ultimo un ostacolo nonostante i brillanti proclami iniziali del primo ministro Narendra Modi che poi si sono trasformati in un “ridurremo l’uso del carbone se il resto del mondo ci finanzierà la transizione verso le energie rinnovabili”. Non mancano le voci fuori dal coro. Il capo dei negoziatori americani, Todd Stern, ha definito il discorso di Mathur “positivo”.
La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, l’Unfccc è il trattato che sta al vertice della piramide dei negoziati. Figueres è la segretaria esecutiva dell’Unfccc. È lei che è riuscita a convincere oltre 150 capi di stato e di governo ad andare a Parigi per fare sì che le tv e i giornali di tutto il mondo parlassero della Cop 21. Che l’apertura dei negoziati diventasse la notizia del giorno. Missione compiuta.
I più grandi tra i lettori continuano a ricordarla per No logo e la nascita del movimento no global. Naomi Klein, però, negli anni ha fatto anche altro. Ad esempio, ha scritto un libro sul capitalismo e il clima. Nelle due settimane di Cop 21 è diventata colei attorno alla quale si sono riuniti gli attivisti, i cittadini dei paesi più vulnerabili ritrovatisi spaesati dopo la decisione del governo francese di vietare ogni manifestazione all’aria aperta. Alla fine è riuscita a spuntarla portando migliaia di persone sotto la torre Eiffel trasformando l’atmosfera fredda post attacchi, in un clima di festa.
Okay, il suo nome apparirà scontato. Del resto Al Gore è colui che ha portato il riscaldamento globale nei cinema di tutto il mondo, sul red carpet degli Oscar e a Oslo durante la cerimonia dei Nobel per la Pace. Ma la sua presenza alla Cop 21 non è stata paragonabile a quella di un normale ospite. La sua faccia era onnipresente. Ha presenziato, in prima fila, a tutti gli eventi di peso. Proprio come se fosse il capo “ombra” delle Nazioni Unite. Non è difficile immaginare Gore che, a notte fonda, cerca di mediare una discussione tra i paesi del petrolio, gli Stati Uniti e i paesi più a rischio.
Ministro degli Esteri francese e presidente di turno della Cop 21 in quanto padrone di casa. Fabius è riuscito a raggiungere “il miglior equilibrio possibile” e a traghettare in porto la nave nonostante a bordo ci fossero centinaia di capitani, ovvero centinaia di paesi con idee diverse sulla rotta da seguire. Il ministro francese ha anche citato Nelson Mandela: “Tutto sembra impossibile fin quando non viene fatto. Nessuno fra noi agendo da solo può raggiungere il successo”.
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