La startup italiana Bufaga propone l’installazione di dispositivi in grado di rimuovere le polveri sottili. Prossima tappa: la metro di Roma.
Abc energia: le biomasse
Le biomasse sono la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura, dalla silvicoltura e dall’industria agroalimentare. Ecco come si possono sfruttare.
La biomassa per la produzione di energia riunisce molti materiali
eterogenei: i residui forestali e di lavorazione (frascami,
ramaglie, scarti di segherie), le colture agricole (girasole,
colza, sorgo da fibra, kenaf, miscanto), residui dell’industria
agroalimentare e agroindustriale (potature di alberi da frutta,
paglie di cereali, vinacce, sanse, noccioli e gusci di frutta),
la frazione organica dei rifiuti solidi urbani (RSU), i rifiuti
domestici in raccolta differenziata, i reflui civili e le deiezioni
animali.
Alcune fonti come la legna non necessitano di subire trattamenti;
altre come gli scarti vegetali o i rifiuti urbani devono essere
processate in un digestore.
Tipologie di utilizzo
L’impiego più tradizionale della biomassa è la
produzione di calore. Il mercato del calore per il riscaldamento di
edifici vede già ora le biomasse ligno-cellulosiche in
posizione di grande competitività nei confronti dei
combustibili fossili, a causa dell’alta incidenza delle imposte sui
prodotti petroliferi e sul gas naturale per questo uso finale
dell’energia. Si aggiunga a questo la facile reperibilità
della risorsa e i bassi costi di gestione dell’impianto.
Le tecnologie per ottenere energia dai vari tipi di biomasse sono
diverse, e diversi sono i prodotti energetici che si ottengono. Le
alternative più valide per l’utilizzazione energetica sono
le seguenti: combustione diretta, con conseguente produzione di
calore da utilizzare per il riscaldamento domestico, civile, e
industriale o per la generazione di vapore (forza motrice per la
produzione di eriga elettrica); trasformazione in combustibili
liquidi di particolari categorie di biomasse coltivate, come le
specie oleaginose (produzione di biodiesel, via estrazione degli
oli e successiva conversione chimica degli stessi in miscele di
eteri metilici e zuccherine o produzione di etanolo via
fermentazione); produzione di biogas mediante fermentazione
anaerobica di reflui zootecnici, civili o agroindustriali
considerando che in, questo caso, l’aspetto energetico riveste un
ruolo complementare rispetto a quello più propriamente
ambientale; produzione di gas combustibile a partire da legno,
biomasse lignocellulosiche coltivate, residui agricoli o rifiuti
solidi urbani (gassificazione) da utilizzare per la conversione
energetica. In tal caso le prospettive offerte da processi avanzati
di gassificazione accoppiati ai cicli combinati sono
particolarmente interessanti per gli elevati rendimenti di
conversione energetica raggiungibili.
Le tipologie di processi di conversione energetica delle biomasse
sono strettamente collegate alle caratteristiche chimico-fisiche
delle biomasse stesse. Se un materiale ha molto carbonio (C) e poca
acqua (H2O), è adatto per essere bruciato per ottenere
calore o elettricità; se un materiale ha molto azoto (N) ed
è molto umido, può essere sottoposto ad un processo
biochimico che trasforma le molecole organiche in metano ed
anidride carbonica.
I combustibili liquidi adatti ad essere utilizzati nei motori a
benzina o diesel possono essere ottenuti a partire da particolari
specie vegetali.
La conversione termochimica
Ai fini della
produzione di energia è necessario trasformare la biomassa
in prodotti più facilmente utilizzabili, ad esempio con una
modifica termochimica delle sue proprietà. Si applica a
materiali e residui in cui il rapporto fra la frazione massica del
carbonio e dell’azoto (C/N) sia superiore a 30 e il cui contenuto
di umidità sia inferiore al 30%.
I possibili processi di conversione sono:
– Combustione diretta. Si effettua generalmente in caldaie, con
buoni rendimenti (80-85%) se si utilizzano combustibili
tradizionali come legna derivante da bosco ceduo o piante lignee a
crescita rapida e corta rotazione (eucalipto, robinia, salice,
canna comune). Tali prodotti vengono raccolti ogni 5/10 anni e
sottoposti a processi di essicazione naturale. Varie sono le
tecnologie di combustione ma quella per cui si raggiungono
rendimenti più elevati (>90%) ed emissioni inquinanti
assai ridotte è la tecnologia a letto fluido.
– Carbonizzazione. E’ una trasformazione del legno in carbone per
semplificarne l’uso. Si riscalda la legna in un forno in assenza
d’aria in 2 cicli da 160 C° e 250 C°, il risultato finale
è il carbone di legna.
– Gasificazione. E’ un’ossidazione parziale in difetto di ossigeno,
a temperatura elevata (900-1000 C°) in cui si ottiene un gas
combustibile composto da: idrogeno, anidride carbonica, ossido di
carbonio, acqua, metano e idrocarburi vari. Il potere calorifico
del gas prodotto è più o meno alto a seconda che la
gasificazione avvenga in aria, ossigeno o in vapor d’acqua. In
quest’ultimo caso si avrà un alto contenuto di metano e
idrogeno
– Pirolisi. Processo ottenuto mediante l’applicazione di calore a
temperature comprese tra 400° e 800 C° in completa assenza
di ossigeno
La conversione biochimica
In tale processo la biomassa viene modificata chimicamente grazie
all’azione di enzimi, funghi e microrganismi che si formano sotto
particolari condizioni. Viene applicata per quei materiali in cui
il già citato rapporto C/N sia inferiore a 30 e
l’umidità >30%. Sono quindi idonee alla conversione le
colture acquatiche , i reflui zootecnici, alcuni scarti di
lavorazione e la biomassa eterogenea immagazzinata nelle discariche
controllate.
I possibili processi sono:
– Digestione anaerobica. Processo biologico realizzato in assenza
di ossigeno da alcuni batteri, attraverso il quale la sostanza
organica viene trasformata in biogas costituito per il 50-80% da
metano e per la restante parte da CO2. L’anidride carbonica
può essere in seguito eliminata e il gas utilizzato come
combustibile per alimentare caldaie a gas.
– Digestione aerobica. Il processo consiste nella metabolizzazione
delle sostanze organiche per opera di microorganismi, il cui
sviluppo è condizionato dalla presenza di ossigeno. Questi
batteri convertono sostanze complesse in altre più semplici,
liberando CO2 e H2O e producendo un elevato riscaldamento del
substrato. Il calore prodotto può essere trasferito
all’esterno mediante scambiatori a fluido.
– Fermentazione alcoolica. Comporta la trasformazione dei
carboidrati contenuti nelle produzioni vegetali in alcool etilico
che viene così denominato bioetanolo. Si applica quindi per
materiali zuccherini (ricchi di carboidrati) come grano, mais,
orzo, patata e sorgo. In alternativa può essere prodotto
anche da materiali ligneo-cellulosici se trattati con acido
solforico per produrre zuccheri. Il bioetanolo può essere
usato in motori a combustione interna come additivo della benzina
fino al 15% in peso senza dover apportare modifiche al motore o
può essere combinato con isobutene per produrre
“EtilTerButilEtere” come è avvenuto in Brasile in cui
è diventato carburante unico in sostituzione della
benzina.
– Esterificazione degli oli vegetali. E’ il processo in cui un olio
vegetale, ricavato dalla spremitura dei semi di piante oleaginose
(girasole, colza, soia, palma, jatropa, cocco, arachidi) è
fatto reagire in modo da ottenere estere metilico (biodiesel) e
glicerina, che verrà succesivamente espulsa e utilizzata per
altri scopi dato l’alto valore commerciale nell’industra
farmaceutica.
Produzione di calore
L’utilizzo diretto del
calore prodotto dalla combustione della biomassa, pura o
precedentemente trattata, rappresenta l’applicazione energetica
più diffusa tanto a livello domestico individuale che a
livello integrato con sistemi di teleriscaldamento. la combustione
può avvenire in focolai aperti o chiusi. I secondi hanno
rendimenti nettamente superiori ed è inoltre possibile
abbinare a questi la possibilità di riscaldamento dell’acqua
calda sanitaria
Produzione di energia elettrica
Molto interessanti sono anche le tecnologie che consentono la
produzione di energia elettrica a partire dalla conversione delle
biomasse. Le tecnologie disponibili per questo tipo di conversione
sono molteplici e dipendenti dalla tipologia di biomassa utilizzata
(non trattata, cippato, pellets, biogas ecc). Tra queste ottimi
rendimenti sono garantiti da dal ciclo termodinamico Rankine,
utilizzato anche nelle classiche centrali termodinamiche. Il
sistema sfrutta il vapore per la generazione di elettricità;
nei sistemi chiusi il vapore non viene disperso in atmosfera ma,
una volta condensato, viene utilizzato nuovamente per azionare le
turbine. I rendimenti medi nella produzione elettrica si aggirano
attorno al 25%, ciò implica un consumo medio di biomassa
pari a 1,44 tonnellate per Mwh prodotto. L’investimento specifico
è di 5.000€/kwp più i costi di
approvvigionamento della biomassa che rappresentano, vista la
quantità richiesta, la problematica principale oltre ai
costi connessi al trattamento della biomassa grezza che ne
aumenterebbe la resa. Altra questione da prendere in considerazione
già in fase di progettazione è lo smaltimento dei
reflui, soprattutto delle ceneri. Per motivi di economicità
la potenza massima consigliata per conversione energetica è
800 – 1.500 kwp.
Il ciclo combinato o cogenerazione è certamente la migliore
soluzione in termini di rendimento. Con il termine cogenerazione si
indica la produzione ed il consumo contemporaneo di diverse forme
di energia secondaria (elettrica e termica) partendo da un’unica
fonte (in questo caso rinnovabile) attuata in un unico sistema.
Questo consentirebbe di sfruttare al meglio il calore generato in
fase di produzione elettrica.
Autotrazione
L’uso di carburanti di origine
vegetale per autotrazione – in particolare di etanolo – risale ai
primi del ‘900 quando Henry Ford ne promosse l’utilizzo.
L’interesse americano per l’etanolo scemò dopo la seconda
guerra mondiale in conseguenza dell’enorme disponibilità di
olio e gas, ma negli anni ’70, a seguito della prima crisi di
petrolio, si ricominciò a parlare di etanolo e, alla fine
del decennio, diverse compagnie petrolifere misero in commercio
benzina contenente il 10% di etanolo, il cosiddetto gasohol.
Più recentemente, con l’approvazione degli emendamenti al
Clean Air Act (1990) da parte del Congresso Americano, che
imponevano un contenuto minimo di ossigeno nelle benzine destinate
alle aree metropolitane più inquinate, si è ritenuto
che i programmi di sviluppo per l’etanolo potessero ricevere una
buona spinta. Oggi l’etanolo propone la sua candidatura come valida
alternativa ai prodotti petroliferi, favorito anche dalla
attenzione politica mondiale a ridurre le emissioni di CO2. In
campo energetico, l’etanolo può essere utilizzato
direttamente come componente per benzine o per la preparazione
dell’ETBE (EtilTerButilEtere), adoperato come additivo dei
combustibili per la riduzione delle emissioni inquinanti. L’etanolo
può essere aggiunto nelle benzine per una percentuale che
può arrivare fino al 30% senza dover modificare in nessun
modo il motore o, adottando alcuni accorgimenti tecnici anche al
100% come in Brasile dove, per ragioni di politica energetica
locale, l’etanolo è stato utilizzato per diversi anni anche
come carburante “unico” in sostituzione della benzina.
Orientativamente, si può stimare che il rendimento di
etanolo, a partire da cereali, si aggiri intorno al 30% (30 kg di
etanolo da 100 kg di cereali fermentati).
Impatto ambientale e considerazioni economiche
Le biomasse sono una fonte energetica rinnovabile, il cui utilizzo
implica un bilancio neutro delle emissioni di CO2. L’emissione
globale risulta infatti annullata dall’anidride carbonica assorbita
durante il ciclo di vita della biomassa. Inoltre lo sfruttamento di
questa risorsa offre la possibilità di creare colture
specializzate a scopi energetici, valorizzando le aree rurali e
contribuendo all’obiettivo di riduzione delle emissioni e di
autarchia energetica nazionale.
Dal punto di vista economico i costi di realizzazione di impianti a
biomassa sono strettamente correlati all’eterogeneità delle
tipologie realizzative e alle diverse forme di combustibile da
biomassa utilizzato. Dovranno essere presi in considerazione i
costi di approvvigionamento della biomasa, l’eventuale lavorazione
e i costi di impianto. Questi ultimi nel caso della produzione di
energia elettrica sono approssimabili a 5.000€ per Kw di
potenza. L’energia elettrica prodotta da biomassa beneficia, come
tutte le Rinnovabili, dell’emissione di Certificati Verdi. La legge
n. 99 del 23/07/2009 ha definito coefficienti moltiplicativi dei
Certificati Verdi in relazione alla natura della fonte rinnovabile.
Le biomasse o biogas prodotti da attività agricola,
forestale o allevamento a filiera corta hanno un coefficiente
moltiplicativo pari a 1,8 (il maggiore riconosciuto dal legislatore
ai C.V.), le altre biomasse e riufiuti biodegradabili hanno invece
un indice moltiplicativo pari a 1,3. I gas di discarica e i gas
residuati dai processi di depurazione hanno infine un indice pari a
0,80. Su richiesta del produttore, per impianti entrati in
esercizio in data successiva al 31 dicembre 2007 e di potenza
nominale media annua non superiore a 1 Mwp, l’energia prodotta
può essere incentivata, in alternativa ai Certificati Verdi,
con una tariffa Omnicomprensiva della durata di 15 anni di
entità variabile a seconda della fonte.
Per le biomasse distinguiamo 2 differtenti tariffe riconosciute:
Biomasse e biogas, esclusi i biocombustibili liquidi ad eccezione
degli olii vegetali puri tracciabili attraverso il sistema
integrato di gestione e di controllo previsto dal regolamento CE.
La tariffa è pari a 28€c/kwh Gas di discarica, gas
residuati dai processi di depurazione e biocombustibili liquidi ad
eccezione degli oli vegetali puri. Tariffa riconosciuta pari a
18€c/Kwh.
L’attuale produzione di energia da biomasse in Italia è pari
a 5,65 milioni di Tep (Tonnellate equivalenti di Petrolio),
distribuiti nelle diverse forme di utilizzo finale. Il reale
potenziale italiano è compreso tra 24 e 30 MTep. La
quantità di energia che si potrebbe raggiungere in Italia al
2020 è di 16,5 Mtep, tra energia elettrica, energia termica
e biocarburanti, come indicato dal position paper presentato dal
governo italiano all’Ue nel 2007. Per raggiungere gli obiettivi al
2020 dovremmo triplicare gli attuali consumi di materia prima.
Case study: Analisi
dell’economicità di un impianto a biomasse da
800Kwp
Considerando un numero di ore di funzionamento pari a 7.500 avremo
una produzione lorda di 6 milioni di Kwh/anno. Essendo l’impianto
di taglia inferiore a 1Mwh, verrà corrisposto l’importo
della tariffa Omnicomprensiva link clickabile pari a 28€c/kw
con un introito complessivo pari a 1.680.000 €. I costi
sostenuti sono quelli relativi alla realizzazione dell’impianto
(5.000€ per kwp, circa 4 milioni di €); la manutenzione
(5% dei costi d’impianto); la manodopera e i costi legati al
combustibile impiegato. Il fabbisogno annuo richiesto è di
circa 11.000 tonnellate
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