Cooperazione internazionale

Cos’è l’accordo di Schengen, per un’Europa senza frontiere

Il trattato di Schengen, dal nome della cittadina del Lussemburgo dove è stato firmato il 14 giugno 1985, dà vita all’omonimo spazio di libera circolazione per le persone. È uno degli accordi di pace più importanti ed efficaci che siano mai stati raggiunti tra stati sovrani. La sua entrata in vigore ha consentito che frontiere un tempo

Il trattato di Schengen, dal nome della cittadina del Lussemburgo dove è stato firmato il 14 giugno 1985, dà vita all’omonimo spazio di libera circolazione per le persone. È uno degli accordi di pace più importanti ed efficaci che siano mai stati raggiunti tra stati sovrani. La sua entrata in vigore ha consentito che frontiere un tempo invalicabili e insormontabili – definite dallo statista britannico Winston Churchill la “cortina di ferro sull’Europa” alla fine della Seconda guerra mondiale – siano oggi scomparse. A fronte di un’eliminazione dei controlli interni, però, i paesi i cui confini guardano verso l’esterno – come l’Italia, dal 1990, l’Ungheria o la Spagna – sono chiamati a mettere in atto misure di controllo più rigorose.

Dei 26 paesi che ne fanno parte, 22 sono anche membri dell’Unione europea (Ue). Gli altri quattro sono Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera. Solo due paesi che fanno parte dell’Ue non hanno aderito: Irlanda e Regno Unito. E poi ci sono Bulgaria, Cipro, Croazia, e Romania che stanno aspettando che Schengen entri in vigore anche per loro.

L’ultimo grande ingresso nel 2004

L’ultima entrata in vigore “di massa” è avvenuta nel 2004 quando hanno fatto il loro ingresso Slovenia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Malta. Un’impresa che ha fatto vivere emozioni intense ai protagonisti e ai cittadini. Quell’anno, ad esempio, è sparito il confine tra Italia e Slovenia rendendo possibile l’unione simbolica di Gorizia, in Friuli-Venezia Giulia, con Nova Gorica.

Accordo di Schengen, unione europea
Accordo di Schengen © Unione europea

Cosa è successo dopo gli attacchi di Parigi

Nel 2015, in seguito all’enorme flusso di migranti che da Oriente (in particolare dalla Siria) e dal continente africano hanno cercato di entrare nell’Unione europea e dopo gli attacchi terroristici di Parigi del 13 novembre, alcuni paesi hanno deciso di reintrodurre i controlli alle frontiere motivandoli con la presenza di “minacce gravi per l’ordine pubblico e la sicurezza interna” o di “gravi lacune relative al controllo delle frontiere esterne”. Norvegia, Svezia, Danimarca, Austria, Francia e Germania hanno sfruttato la possibilità di sospensione prevista dal trattato, ma tutto dovrebbe tornare alla normalità, a meno di rinnovi, entro il mese di febbraio.

Perché Schengen non verrà abolito

I ministri dell’Interno dell’Unione europea stanno discutendo in questi giorni la possibilità di sospendere totalmente il trattato per due anni, ma questo – salvo scenari estremi – non potrà essere abolito definitivamente o modificato in modo sostanziale perché sarebbe necessario ricorrere al meccanismo di “revisione semplificata” che richiede l’unanimità dei voti del Consiglio dell’Ue di competenza e una nuova ratifica di tutti gli stati.

ungheria romania
La pietra che segna il confine tra Ungheria e Romania © kelenbp

Schengen è anche prezioso

All’abolizione e alla proposta di sospensione biennale sono contrari tutti i paesi dell’Europa meridionale, in primis Italia e Grecia. Anche se la fine di Schengen è usata come “bandiera” da molti partiti nazionalisti e conservatori che non vogliono più immigrati nel loro paese, le cose stanno diversamente. Per fare un esempio, senza Schengen i migranti che giungono via mare in Italia rimarrebbero bloccati entro i nostri confini per la presenza di frontiere fisiche e legali che non consentirebbero a queste persone di spostarsi verso i paesi dell’Europa settentrionale per trovare lavoro o ricongiungersi alla propria famiglia. Infine ripristinare i controlli alle frontiere comporterebbe costi ingenti tra la reintroduzione fisica delle barriere e la formazione di personale dedicato. Per non parlare dei disagi che subirebbero il settore dei trasporti e coloro che lavorano in città di confine, i cosiddetti pendolari transfrontalieri, molto numerosi tra Italia e Svizzera.

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