Secondo l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati, “se la comunità internazionale non intraprenderà azioni immediate e coraggiose per contrastare gli effetti catastrofici della pandemia, il futuro di milioni di bambini rifugiati che vivono in alcune delle comunità più vulnerabili al mondo sarà ulteriormente minacciato”. Anche perché già prima del coronavirus la probabilità che un bambino rifugiato non ricevesse un’istruzione era due volte più elevata rispetto a quella di un suo coetaneo non costretto a lasciare la propria casa e il proprio paese. E adesso molti potrebbero non avere più l’opportunità di riprendere gli studi a causa della mancata riapertura delle scuole, della difficoltà nel pagare le tasse d’iscrizione, le divise o i libri di testo, oltreché per l’impossibilità di accedere alle tecnologie necessarie o del bisogno di lavorare per sostenere le proprie famiglie.
#COVID19 a dire threat to refugee education – half of the world’s refugee children out of school – UNHCR Reporthttps://t.co/p4iN9eyTqh
Le difficoltà che devono affrontare i bambini rifugiati per andare a scuola
Se in Italia la ripresa delle scuole resta un nodo ancora da sciogliere, dunque, a milioni di bambini rifugiati il diritto all’istruzione continua a essere negato e la Covid-19 rischia di aggravare una situazione già drammatica. L’allarme è contenuto nel quinto rapporto dell’Unhcr dedicato all’istruzione, Coming together for refugee education. “Metà dei bambini rifugiati di tutto il mondo non riceveva già un’istruzione – ha sottolineato l’Alto commissario per i rifugiati, Filippo Grandi -. Dopo tutto quello che hanno vissuto, non possiamo privarli del futuro negando loro un’istruzione oggi”.
I dati raccolti nel rapporto, relativi al 2019, si basano su informazioni provenienti da dodici paesi che accolgono oltre la metà dei bambini rifugiati di tutto il mondo. Stando ai numeri, la percentuale di iscrizioni complessive all’istruzione primaria è pari al 77 per cento, solo il 31 per cento dei giovani risulta iscritto a quella secondaria e per quanto riguarda la superiore si arriva al 3 per cento. In realtà, benché si tratti di dati non paragonabili a quelli delle medie globali, il 2009 ha fatto registrare un aumento del 2 per cento dei rifugiati iscritti alle scuole secondarie. Ma la Covid-19, scrive ancora l’Unhcr, “rischia di azzerare anche questi piccoli progressi”.
La situazione delle bambine rifugiate preoccupa l’Unhcr
Per le bambine va ancora peggio. Le probabilità di accesso all’istruzione per le ragazze che si trovano ad essere rifugiate in altri paesi rispetto al proprio sono addirittura inferiori a quelle dei coetanei maschi. Il Malala Fund ha stimato che, a causa del virus, la metà di tutte quelle rifugiate non farà ritorno in classe quando riapriranno le scuole, almeno per quanto riguarda il mese in corso: “Preoccupa l’impatto sulle bambine rifugiate – continua Filippo Grandi -. La comunità internazionale non può in alcun modo permettersi di fallire il compito di offrire loro le opportunità derivanti dall’istruzione“.
When a girl’s education is cut short, the impact on communities lasts for generations.
C’è poi un’altra questione, perché le minacce all’educazione dei giovani rifugiati non sono legate soltanto alla pandemia. Gli attacchi ai danni delle scuole “costituiscono una triste realtà in aumento – si legge ancora in una nota dell’ufficio Onu per i rifugiati – e nel Sahel le violenze hanno costretto alla chiusura oltre 2.500 istituti danneggiando i percorsi scolastici di 350mila studenti”.
Aumenta la distanza tra la scuola e i bambini rifugiati
Tutto ciò in un contesto già estremamente complicato. A livello globale, sono infatti 250 milioni i bambini che non sanno né leggere né scrivere né contare, secondo i dati di Unicef. La pandemia non ha fatto altro che aggravare le diseguaglianze con il digital divide (il mancato accesso a internet) che ha lasciato indietro milioni di studenti. Dei quasi 1,6 miliardi le cui scuole hanno chiuso in più di 190 paesi, circa 463 milioni, oltre il 30 per cento non è stato in grado di accedere alla didattica a distanza.
Le disparità sono particolarmente acute nei Paesi a basso reddito dell’Africa subsahariana, dove quasi 9 studenti su 10 non hanno accesso a un computer e l’82 per cento non ha internet a casa. Come ha ricordato il direttore dell’Oms per l’Europa Hans Kluge, la pandemia ha causato la più grande interruzione dei sistemi educativi nella storia.
Pandemia ed emergenza educativa per i bambini italiani
Cifre drammatiche, se accostate a quelle che riguardano la condizione socio-economica delle famiglie in Italia, dove si stima siano oltre 1,8 milioni i nuclei famigliari in condizioni di povertà assoluta, con 1,26 milioni di coinvolti, secondo i dati Istat del 2019. “La chiusura delle scuole, sia pur necessaria, ha danneggiato tutti i bambini ma, come in tutte le crisi, ha avuto ripercussioni maggiori sui bambini che appartengono a famiglie vulnerabili; parliamo di giovani vittime di violenza, di bambini che vivono in case-famiglia, di minorenni stranieri non accompagnati” ricorda Samantha Tedesco, responsabile advocacy e programmi di Sos Villaggi dei Bambini. “La scuola – prosegue – rappresenta non solo il luogo in cui apprendere, per molti bambini è la possibilità di un pasto sano e completo al giorno. E per molti bambini, purtroppo, è l’unico pasto completo dell’intera giornata. La scuola è la possibilità quindi di alimentare sia il corpo che la mente”.
Un paradiso che durante il lockdown è diventato un purgatorio per 1 bambino su 10 che non è riuscito a seguire la didattica a distanza e ha quindi abbandonato in maniera silenziosa la scuola. “Uno su cinque – conclude Tedesco – non è riuscito a fare i compiti. Le segnalazioni ai centri antiviolenza sono aumentate rispetto allo stesso periodo 2019. Abbiamo bisogno di sanare questa discriminazione”.
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