
Un libro raccoglie storie ed esperienze dei primi quattro decenni di Fondazione Cesvi. Abbiamo intervistato il suo autore, il Presidente onorario Maurizio Carrara.
L’imbarcazione affondata nei pressi del parco nazionale Sundarbans mette a rischio la sopravvivenza delle persone e delle specie animali che abitano la foresta e il fiume.
In Bangladesh è affondata una nave che trasportava 1.235 tonnellate di carbone e gli scarti della lavorazione del combustibile fossile che, secondo gli esperti, contengono metalli pesanti come arsenico, piombo e mercurio e che rappresentano un grave pericolo per la vita umana, animale e vegetale.
Il disastro ha avuto luogo sabato scorso, la nave da carico Mv Sea Horse-1 è affondata (l’equipaggio si è salvato) nel fiume Shela nel delta del Gange, nel cuore del parco nazionale Sundarbans, la più grande foresta di mangrovie del mondo. Il Sundarbans, che si estende per 80 chilometri dalla costa all’interno del Bangladesh, è una foresta relitta, unica testimone rimasta delle maestose giungle che un tempo ricoprivano la pianura del Gange. L’area, diventata riserva naturale nel 1966 e classificata come Patrimonio dell’umanità dall’Unesco, ospita una ricchissima biodiversità che comprende specie ad alto rischio, come la tigre del Bengala (Panthera tigris tigris) e i rari delfini di fiume orcella asiatica (Orcaella brevirostris) e platanista (Platanista gangetica).
Queste sono solo le specie più iconiche, il parco è anche popolato da specie minacciate e rare di pesci, granchi, lontre, coccodrilli e uccelli. Nel parco vivono anche alcune famiglie di zingari che pescano servendosi di lontre ammaestrate. Dopo il capovolgimento della nave, che non è ancora stata recuperata, il governo ha sospeso il transito delle altre navi sul fiume Shela. Tuttavia, fanno notare gli ambientalisti, in passato divieti simili sono stati ritirati in fretta.
Nel dicembre del 2014 un’altra catastrofe aveva colpito il Sundarbans, una petroliera bengalese era infatti affondata dopo una collisione con un cargo sul fiume Shela, sversando nel fiume 350mila tonnellate di olio combustibile da fornace. Anche in quel caso il governo aveva vietato l’accesso alle navi da carico, ma nel giro di un mese il divieto era stato revocato. Nel maggio dello scorso anno è invece affondata nel fiume Bhola una nave che trasportava 500 tonnellate di fertilizzante, mentre a ottobre del 2015 in un altro fiume del parco, il Passur, è colata a picco una nave da carico che trasportava 510 tonnellate di carbone.
Nonostante quest’incredibile sequenza di incidenti le imbarcazioni di questo tipo hanno continuato a transitare in quest’ecosistema unico e sensibile. “I metalli pesanti contenuti negli scarti del carbone si mescolano con l’acqua uccidendo prima i pesci e poi tutti coloro che se ne nutrono, dalle persone agli animali come i delfini, i coccodrilli, le lontre e gli uccelli – ha spiegato Abdullah Harun Chowdhury, professore della Khulna University. – L’impatto del disastro nel breve termine produrrà una diminuzione delle popolazioni di animali acquatici, mentre nel lungo periodo i metalli pesanti provocheranno, oltre alla perdita di habitat, lesioni agli organi respiratori, al cuore, agli occhi e alla pelle”.
Secondo il professore i metalli pesanti possono anche compromettere la crescita e la sopravvivenza dei grandi alberi di mangrovie, come l’albero Sundari (Heritiera fomes), e danneggiare le zone di riproduzione dei gamberi, importante forma di sostentamento per la popolazione locale. Il dipartimento forestale del Bangladesh ha presentato una causa contro il proprietario della Mv Sea Horse-1 e altre cinque persone coinvolte e ha formato un comitato per indagare sull’incidente.
Nonostante le numerose catastrofi il Bangladesh sta progettando una centrale termica a carbone vicino al Sundarbans. Proprio la settimana scorsa centinaia di persone hanno marciato per protestare contro la costruzione della centrale. La manifestazione, chiamata la “lunga marcia”, ha visto la partecipazione di attivisti e ambientalisti del Bangladesh e dell’India ed è partita da Dhaka, capitale del Bangladesh, e ha percorso 250 chilometri per raggiungere in varie tappe il distretto di Rampal, dove comincia il Sundarbans.
“Non possiamo permettere che la più grande foresta di mangrovie al mondo venga distrutta da una centrale termica – ha dichiarato Ruhin Hossain, uno degli organizzatori della marcia. – Il Sundarbans ci ha salvato da cicloni e piene ed è la nostra principale protezione dagli tsunami”. La realizzazione della nuova centrale, secondo un rapporto un rapporto di South Asians for Human Rights, starebbe già costringendo centinaia di famiglie a sfollare, senza preavviso, e con risarcimenti inadeguati.
L’associazione per i diritti umani sostiene inoltre che la centrale, oltre ad intensificare il ricorso al carbone in uno dei Paesi più vulnerabili al mondo ai cambiamenti climatici, aumenterà esponenzialmente l’inquinamento e il rischio di disastri ambientali durante il trasporto del carbone utilizzando i fiumi che attraversano la foresta.
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