
Sônia Guajajara è attivista, Célia Xakriabá è educatrice. Entrambe sono donne indigene e si sono conquistate un seggio al Congresso brasiliano.
Dall’inizio dell’anno, nella più grande foresta pluviale della Terra, sono stati deforestati oltre 1.200 chilometri quadrati.
Dopo essere calata per quasi 15 anni, l’anno scorso la deforestazione nell’Amazzonia brasiliana è tornata a crescere, mettendo a repentaglio il futuro di uno degli ecosistemi più importanti del pianeta che, da lussureggiante foresta pluviale, potrebbe trasformarsi in arida savana. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, i tassi di deforestazione sono cresciuti ulteriormente.
Da gennaio ad aprile, secondo i dati pubblicati lo scorso 8 maggio dall’Istituto nazionale per le ricerche spaziali (Inpe), sono stati rasi al suolo 1.202 chilometri quadrati di foresta, il 55 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2019. Se invece si considera solo l’area disboscata ad aprile, circa 405 chilometri quadrati, c’è stato un incremento del 64 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019. Negli ultimi dodici mesi la distruzione della foresta ha raggiunto il livello più alto dal 2007, anno di inizio del monitoraggio mensile.
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Tra l’aprile del 2019 e l’aprile del 2020 è stata deforestata un’area di 9.320 chilometri quadrati, il 40 per cento in più rispetto all’anno precedente e più del doppio in confronto al 2018, facendo registrare un continuo incremento per tredici mesi consecutivi.
Non è un caso che la deforestazione sia impennata nell’ultimo anno, ovvero da quando Jair Bolsonaro è diventato presidente del Brasile. Bolsonaro ha infatti, fin dalla campagna elettorale, fatto capire che per lui la foresta amazzonica è innanzitutto una risorsa economica da sfruttare.
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Dalla sua elezione ha, tra le altre cose, indebolito le normative ambientali, ridotto drasticamente le sanzioni per la deforestazione illegale, tagliato budget e personale dell’agenzia ambientale Ibama, diminuito il ruolo degli scienziati nel governo, aperto i territori indigeni all’assalto delle multinazionali e, addirittura, accusato DiCaprio di aver finanziato gli incendi in Amazzonia.
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Nonostante la tutela dell’ambiente non risulti dunque tra le sue priorità, gli allarmanti tassi di deforestazione e il dissenso internazionale hanno costretto Bolsonaro ad intervenire: lo scorso 5 maggio ha autorizzato l’esercito ad intervenire contro la distruzione della foresta amazzonica. Questa decisione è stata però criticata da conservazionisti e ambientalisti, che ritengono sarebbe stato meglio aumentare le risorse a disposizione delle agenzie ambientali, che hanno una maggiore conoscenza della foresta e delle minacce che la affliggono.
#OperaçãoVerdeBrasil2 | O Ministério da Defesa, por meio das Forças Armadas, reforça o compromisso com a soberania nacional e segue atuando no combate a queimadas e repressão de ilícitos na Amazônia Legal. https://t.co/Txdm2LJzi1
— Ministério da Defesa (@DefesaGovBr) May 11, 2020
Lo scorso anno gli stati di Rondônia, Amazonas, Pará e Mato Grosso furono colpiti da violenti roghi, le fiamme bruciarono milioni di ettari di foresta pluviale e il fumo oscurò la città di San Paolo. Si teme che la crescente deforestazione, combinata al clima eccezionalmente secco in vaste aree del Brasile, lasci presagire un’altra stagione degli incendi particolarmente grave, con conseguenze per il mondo intero, dato che la foresta amazzonica è il principale deposito di anidride carbonica del pianeta.
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