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Quella manciata di persone che silenziosamente si sono ritrovate nella centralissima piazza dei martiri a Beirut per raccogliere l’immondizia lasciata da migliaia di manifestanti, si è trasformata in pochi giorni nel movimento Cittadino libanese, con oltre 1.300 volontari il cui motto è: “pulisci le strade prima di rivendicarle”.
“Abbiamo il sacrosanto diritto di protestare, ma anche la responsabilità di dare l’esempio e di diventare noi il cambiamento che stiamo chiedendo a chi ci governa”. Nato dal basso e autogestito, nella raccolta e nello smaltimento dei rifiuti, il movimento popolare Cittadino libanese è riuscito dove il governo ha sempre fallito: il 90 per cento di quanto è stato tolto dalla strada nel corso delle proteste in Libano – in media dieci camion al giorno – è stato destinato al riciclo. Dopo le dimissioni del primo ministro Saad Hariri, con la ripresa delle attività istituzionali, i volontari hanno sospeso il proprio lavoro, ma sono pronti a tornare in azione in qualsiasi momento. Abbiamo parlato con Peter Mouracade, uno dei coordinatori del movimento ed amministratore delegato della Beirut marathon association, per capirne di più.
Come è nato il movimento Cittadino libanese?
Una sera, dopo aver partecipato ad una manifestazione, ho visto in televisione scene di una protesta violenta che si lasciava alle spalle una città ferita e deturpata. Quella notte non ho chiuso occhio. Sia chiaro che condivido pienamente i motivi della protesta e capisco la rabbia della gente. Senza dare alcun giudizio, semplicemente non riuscivo ad accettare che quella fosse l’immagine della mia città. Era dannosa per i cittadini di Beirut, per i libanesi e per il mondo che ci stava guardando.
Alle 6:00 di mattina ho preso tutti i sacchi della spazzatura che avevo e sono andato in piazza dei martiri; ho iniziato a raccogliere quello che trovavo per terra, poi ho alzato lo sguardo e ho visto che altre persone nella piazza stavano facendo la stessa cosa. I passanti si fermavano, ci facevano delle domande e poi si univano a noi. È stato incredibile: da dieci persone che eravamo all’alba, eravamo già diventati cinquanta alla fine della prima giornata.
Come siete riusciti ad organizzarvi e a fare sistema?
Il secondo giorno ci siamo ritrovati per continuare il lavoro e dei ragazzi mi hanno suggerito di creare un gruppo su Whatsapp per definire orari e punti di ritrovo, e così ho fatto. Ho memorizzato i primi numeri di telefono e il passaparola ha fatto il resto. In breve tempo abbiamo raggiunto il limite massimo gestito dalla chat: eravamo in 250.
La partecipazione si è estesa in modo virale e ha raggiunto oltre 1.300 volontari; nel frattempo siamo riusciti a darci una struttura organizzativa, nominando tredici coordinatori tra i volontari e collaborando con le ong che ci hanno guidato passo per passo nella differenziazione e nel riciclo.
Che risultati avete ottenuto?
Sin da subito abbiamo investito i nostri sforzi nella differenziazione capillare dei rifiuti e grazie al contributo di Joslin Kehdy, fondatrice e presidente dell’ong Recycle Lebanon, in tre giorni sono stai raccolti 1.390 chili di bottiglie di plastica ed è stato anche attivato un punto di raccolta dei mozziconi di sigaretta. Ora il 90 per cento di quello che raccogliamo dalle strade è destinato al riciclo. Il sistema è diventato talmente efficiente da essere preso a modello dalle altre regioni. Le persone si sono mosse nella stessa direzione chiedendo il nostro supporto.
Ci riunivamo ogni giorno alle 18:00 in piazza dei martiri per pianificare le attività della mattina successiva; in molti per sostenerci volevano fare delle donazioni in denaro, ma le abbiamo sempre rifiutate. Stilavamo l’inventario del materiale necessario, come i sacchi, i guanti, le scope, e la gente si dava da fare per procurarci quello che avevamo messo nella lista. È stato strabiliante vedere come la partecipazione a questo movimento sia stata trasversale: famiglie con bambini, giovani, imprenditori, pensionati e anche senzatetto che dormono per strada. Tutti impegnati, insieme, per il bene comune.
Quale futuro vedete per questo movimento?
Non avremo mai un’affiliazione politica, così come non diventeremo mai una ong. Abbiamo grandi progetti, ma per crescere dobbiamo tenere salda l’identità di questo movimento, nato dalla gente per la gente, lontano dai partiti e dalle fazioni. Abbiamo già compiuto un altro passo importante e di responsabilità civile allestendo dei gazebo per raccogliere indumenti usati da destinare alle associazioni che sono a fianco dei meno abbienti. L’inverno sta arrivando e sappiamo bene che può essere molto duro per chi non ha poco o nulla.
Dopo la ripresa delle regolari funzioni delle istituzioni, la pulizia delle strade è stata sospesa, ma siamo pronti ad intervenire nuovamente ovunque si renda necessario il nostro contributo.
Dopo tredici giorni di proteste, il 29 ottobre il primo ministro Saad Hariri ha annunciato le dimissioni in diretta televisiva, accolte dalle migliaia di manifestanti come il primo passo verso il reale rinnovamento di una classe politica che non ha saputo rispondere alle pesanti fragilità del paese – dalla rete elettrica, che non è ancora in grado di garantire l’illuminazione ventiquattr’ore al giorno, alla gestione dei rifiuti, fino alla questione dei rifugiati siriani che sono ormai un milione e mezzo. Il popolo libanese, che in questa tornata di proteste ha saputo trascendere molti dei separatismi anche di natura religiosa per stare dalla stessa parte, osserva ora con la massima attenzione le prossime mosse sulla scacchiera politica, consapevole di avere un ruolo rilevante nella partita.
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