A dirlo è uno studio della Commissione europea che ha fatto una prima stima del potenziale contributo della Pac agli obiettivi climatici.
Cooperativa Girolomoni, la storia del biologico e la potenza della filiera corta
Cooperativa Girolomoni vince uno dei premi Eu Organic Awards. Perché? No, per chi: con la sua filiera di lavorazione della pasta 100% italiana certificata equa e solidale, garantisce compensi equi agli agricoltori e l’eccellenza nel piatto ai consumatori.
C’era una volta un sogno. 1971, un uomo di 23 anni, con sua moglie il suo primo figlio, si trasferisce in un monastero abbandonato sulla collina di Montebello, nei dintorni di Isola del Piano (PU), Marche. Durante i primi anni di lavoro un suono giungeva alle loro orecchie da tutt’intorno, era il grido della terra, sopraffatta da un’agricoltura affamata di produzione e impoverita della ricca vita che la compone. Gino e Tullia Girolomoni sentono questo grido e la loro missione ha inizio. È il 1977 e tutta la società contadina della provincia di Pesaro-Urbino vuole lasciare le colline per vivere una vita più facile, in città, da operai. Il carisma di Gino, che aveva piani ben diversi, ha trattenuto qualcuno di loro, e così prende vita la cooperativa agricola Alce Nero, oggi, Girolomoni. Il sogno era semplice ma rivoluzionario: ridare dignità alla terra.
La nascita del biologico tra sequestri e successi
Ridare dignità alla terra vuol dire ridarle la possibilità di essere viva, ricca, e fertile. Il metodo biologico ha come missione esattamente questo: sviluppare un modello di produzione che eviti lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, in particolare del suolo, dell’acqua e dell’aria, utilizzando invece tali risorse all’interno di un modello di sviluppo che possa durare nel tempo.
“Come potevo avvelenare la terra, i fiori, le volpi, i cibi dati ai bambini?”, scrive Gino Girolomoni nel suo libro Ritorno alla vita sulle colline. A 13 anni di distanza da questo impegno è arrivato il primo regolamento europeo sul metodo di produzione biologico, ma prima di allora, la legge italiana ha ostacolato questo nuovo modo di coltivare nel rispetto della terra. “Scrivevano che era pasta da agricoltura biologica – racconta Giovanni Girolomoni, oggi presidente della Cooperativa e figlio di Gino – ed erano accusati di pubblicità ingannevole”. Ma non solo. La pasta integrale che avevano iniziato a commercializzare è stata sequestrata per 17 anni. Il problema, qui, stava nel contenuto di ceneri. “Si tratta – spiega Giovanni Girolomoni – di un parametro tecnico che identifica l’integralità di un prodotto. Più il chicco è intero più il livello di ceneri è elevato. Ma per legge non si poteva chiamare pasta un prodotto che avesse un contenuto di ceneri alto”. L’articolo 36 della legge 580 del 1967, infatti, cita: “È vietato vendere o detenere per vendere pasta avente caratteristiche diverse da quelle stabilite dalla presente legge”.
Alla fine degli anni Ottanta un’idea brillante ha portato a una nuova dicitura dei prodotti della Cooperativa: “Bastava chiamarli spaghetti integrali, o penne biologiche, e il problema non si poneva, bastava non dire che era pasta”, spiega Maria Girolomoni, responsabile della comunicazione della Cooperativa, e figlia di Gino e Tullia. Le caratteristiche a cui la legge si riferiva sono poi state riscritte, ma il lungo sequestro ha gravato molto sull’autosufficienza di questo progetto e se non fosse stato per la richiesta dalla Francia e dalla Germania, il sogno di Gino Girolomoni, forse oggi, sarebbe rimasto solo un sogno. Questa Cooperativa ha aperto la strada su alcune battaglie che hanno permesso al biologico di essere la fetta di mercato che è oggi, e ciò è stato riconosciuto dalla commissione dell’European organic awards a ottobre 2024, durante il conferimento del prestigioso premio al sogno diventato realtà di Gino Girolomoni.
Quanto può essere corta una filiera?
Mai sentito parlare di centimetro zero? Quando si parla della cooperativa Girolomoni ci si può immaginare un ecosistema, dove tutti contribuiscono a un servizio, agendo come un corpo unico. La struttura è la seguente: le aziende agricole socie portano i loro grani a una struttura centrale sulla collina di Montebello dove poi seguiranno tutti i passaggi che porteranno al prodotto finale.
Dall’analisi scientifica, al mulino, al pastificio, i chilometri percorsi sono zero. “Per prima cosa il grano duro viene analizzato, in termini di micotossine e valori nutrizionali. È importante che la miscela di grani sia bilanciata per una pasta dai valori nutrizionali costanti”, spiega Daniela Bellini, responsabile qualità della Cooperativa.
Ogni chicco viene scomposto, setacciato, e poi macinato al molino.
Il molino è il cuore dell’attività produttiva nello stabilimento di Isola del Piano, perché al suo interno avviene la magia della trasformazione del grano, in semola. Realizzato nel 2019, e da allora operativo 24 ore su 24, rappresenta il coronamento del sogno di Gino, il completamento della filiera. Il molino a cilindri è dotato delle più avanzate tecnologie che consentono di misurare con precisione la corretta formulazione delle ricette per sfarinati su misura. “Successivamente avviene il trattamento in pastificio per avere poi il risultato finale”, prosegue Daniela. ‘La via della semola’ è un innovativo sistema di trasporto interno che porta la semola all’adiacente pastificio, dove verrà impastata, essiccata a temperature non troppo alte e per tempi lunghi e, infine, confezionata come pasta. Dal suolo marchigiano, e dalle mani di chi la terra la ama, i grani trasformati in pasta partono per il mondo. Infatti, “il 75 per cento dei prodotti finali viene esportato all’estero, specialmente in Francia e Germania, il resto rimane in Italia”, spiega Sergio Moretti, direttore commerciale di Girolomoni.
Il biologico di domani
Il metodo e la passione di Gino Girolomoni hanno aperto la strada a molti agricoltori biologici di oggi. Quasi il 20 per cento della superficie agricola italiana è trattata con questo metodo, ma la spesa per il biologico corrisponde al tre per cento dei consumi.
Produciamo molto, esportiamo tanto, ma consumiamo davvero poco, cosa manca?
Le domande che il mercato del biologico impone oggi, a distanza di quarant’anni dall’avviamento del sogno di Gino, sono: come innovare? Come fare ulteriormente rete? Come far capire alle persone quanto diverso è un prodotto da agricoltura biologica rispetto a quello convenzionale? Si deve riflettere sul biobreeding, cioè sulla selezione di varietà adatte all’agricoltura bio con tecniche di incrocio tradizionali, portando avanti tutte le fasi della ricerca con il metodo biologico e coinvolgendo gli agricoltori
Queste sono solo alcune delle domande che si deve porre il biologico di domani.
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