Cosa sono gli idrogenodotti e dove si trovano

In Europa esistono 1.500 chilometri di idrogenodotti. Entro il 2040 si punta a estendere la rete fino a 23mila chilometri. Le criticità da superare.

Che sia verde, blu o grigio, l’idrogeno va trasportato. Ci sono diverse modalità per farlo: la soluzione più semplice ora è quella di riempire grosse bombole o cisterne e portarle a destinazione su gomma, su rotaia oppure via mare. Per questa soluzione l’idrogeno richiede alte pressioni, quindi elevati costi di compressione.

Ma siccome l’idrogeno si presenta nella sua forma naturale come un gas, il suo trasporto può avvenire tramite condotte. Il che risolve un problema, poiché attraverso una rete di tubazioni si può veicolare idrogeno a basse pressioni: la rete di idrogenodotti è, non a caso, in continua espansione in tutto il mondo. Attualmente si contano 1.500 chilometri di idrogenodotti in Europa e 900 negli Stati Uniti.

Una stazione di rifornimento a idrogeno in Germania © Sean Gallup/Getty Images

Storia degli idrogenodotti

Fonti storiche parlano dell’idrogenodotto di Verrés, Valle d’Aosta, come il primo esperimento di trasporto di questo prezioso gas: era il 1934 e tali condotte trasportarono 42mila metri cubi di idrogeno in 24 ore. Il suo uso era legato alla filiera dei concimi a base di pirite estratta nella vicina miniera di Champdepraz. Oggigiorno, però, questa struttura è stata riconvertita in un istituto tecnico e le condotte che trasportavano idrogeno non sono più in funzione.

Poi c’è un altro idrogenodotto, costruito sempre negli anni trenta (nel 1938, per la precisione) che è invece ancora in funzione. È quello dell’area metropolitana Reno-Rurh, in Germania: oggi l’idrogeno della Ruhr è prodotto principalmente dallo steam reforming di gas e vapore acqueo (quindi parliamo di idrogeno grigio, che deriva da un combustibile fossile) ma diverse aziende del bacino si stanno convertendo all’idrogeno verde, utilizzando energia idroelettrica ed eolico. Ma soprattutto, ci sono ben 230 chilometri di condotte che, in parte, muovono idrogeno per gli usi industriali del distretto e in parte lo trasferiscono con i mezzi verso altre destinazioni.

La rete di idrogenodotti si è estesa negli anni anche in Francia, Olanda, Belgio, Inghilterra (mentre fuori dai confini europei troviamo una nutrita rete di idrogenodotti negli Stati Uniti e, in misura minore anche in Sudafrica, Brasile, Thailandia e Indonesia). E ora che l’Unione europea ha indicato l’idrogeno come opportunità per raggiungere l’obiettivo zero emissioni di gas serra nette entro il 2050, le strategie di trasporto di questo gas si sono moltiplicate.

Tra le strategie in corso c’è quella definita da European Hydrogen Bockbone, progetto che riunisce le maggiori aziende produttrici di gas naturale d’Europa. L’idea è quella di convertire i gasdotti già esistenti al trasporto di idrogeno. Secondo le società coinvolte dal progetto, entro il 2040, l’idrogeno potrà contare su una rete di 40mila chilometri, di cui il 69 per cento composto dalla riconversione dei metanodotti esistenti e collegando 21 paesi europei. Tra gli obiettivi c’è anche quello di diminuire il costo legato al trasporto: dagli attuali 10 centesimi per chilogrammo ogni 1000 chilometri si potrebbe scendere del 25 per cento. E, di conseguenza, calerebbe il costo finale per l’utente.

Idrogenodotti d’Italia

Al 2018, la rete nazionale di gasdotti in Italia si estendeva per oltre 30mila chilometri. Tale sistema di condotte è gestito da Snam, società nazionale dei metanodotti. Per la prima volta, nel 2019, Snam ha immesso una miscela di idrogeno al 5 per cento in volume e gas naturale nella rete di metanodotti italiana. La sperimentazione, prima di questo genere in Europa, ha avuto luogo a Contursi Terme, in provincia di Salerno, e prevedeva la fornitura di miscela di idrogeno e gas a due imprese industriali della zona, un pastificio e un’azienda di imbottigliamento di acque minerali. L’anno successivo l’idrogeno nella miscela è passato al 10 per cento.

Nel suo piano 2020-2024, del valore di 7,4 miliardi di euro, Snam investirà 150 milioni di euro nel settore dell’idrogeno e tra le attività ci sarà anche la modernizzazione della rete del gas in ottica “hydrogen ready”. Rete che peraltro è stata di recente certificata come compatibile con il trasporto dell’idrogeno da Rina, ente certificatore che opera a livello mondiale nei settori delle infrastrutture. Se da una parte le sostituzioni annunciate riguardano 1200 km di condotte, dall’altra, spiega Snam, più del 70 per cento dei tubi dei metanodotti sono già pronti a trasportare idrogeno. Tra gli investimenti di Snam, spazio anche agli impianti di compressione di idrogeno: dopo la sperimentazione della prima turbina ibrida gas con idrogeno al volume del 10 per cento, che verrà installata nel 2021 nella centrale di Istrana, sono in corso nuovi test per verificare la quantità massima di idrogeno che può essere immessa in turbine e compressori.

Secondo il professore del dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale del Politecnico di Torino Stefano Mauro, l’ipotesi di utilizzare le reti di trasporto del gas naturale pare vincente: sono allo studio dispositivi basati su membrane selettive che permettano, quando necessario, di separare l’idrogeno dal gas naturale una volta raggiunto il luogo di utilizzo (un’alternativa è quella di utilizzare direttamente la miscela di gas naturale e idrogeno come combustibile). Eppure, raggiungere il 100 per cento di idrogeno nelle condotte nate per trasportare il gas non sarà semplice.

“Occorre porre particolare attenzione a quanto può accadere quando l’idrogeno interagisce con l’acciaio”, scrive Stefano Mauro. “È noto che l’idrogeno può avere alcuni effetti sul materiale, potendo in alcuni casi alterarne le prestazioni, in particolare la duttilità e la tenacità”. È un fenomeno conosciuto come “infragilimento”, in cui l’acciaio di cui sono fatte le tubature dei metanodotti, a contatto con l’idrogeno, diventa appunto più fragile, rischiando di spezzarsi. Secondo il professore, il trasporto di miscela al 10 per cento di idrogeno non introdurrà effetti sulle condotte già esistenti: ciò significa che, essendo il trasporto di gas metano in Italia di 47 miliardi di chilogrammi, l’immissione del 10 per cento di idrogeno permetterebbe di trasportare 4,7 miliardi di chilogrammi di idrogeno, con un contenuto energetico di circa 187 terawatt. Poiché il consumo di energia in Italia è di circa 320 terawatt (di cui 60 circa prodotti da fonti rinnovabili), il limite del 10 per cento dà comunque “ampio margine per fornire una possibilità di accumulo agli impianti di produzione da fonte rinnovabile che potranno essere installati nei prossimi anni”, conclude il professore.

Anche nel resto d’Europa sono in atto sperimentazioni di questo genere. La bozza Strategic, research & innovation agenda (Sria), documento preparato per rispondere alla richiesta di un partenariato pubblico-privato istituzionale dedicato allo sviluppo delle tecnologie dell’idrogeno nell’Unione europea, indica il caso di Leeds (Inghilterra) come dimostrazione della fattibilità di conversione della rete del gas in idrogeno al 100 per cento: dopo uno studio di fattibilità durato cinque anni, il Regno Unito ha finanziato un progetto di conversione della rete del gas con un investimento di 60 milioni di euro. I lavori potranno iniziare nel 2025.

gasdotto metanodotto
Miscelandolo con il gas, si possono trasportare 4,7 milioni di tonnellate di idrogeno in Italia © Carsten Koall/Getty Images

Trasporto dell’idrogeno e Pnrr

C’è un’altra scuola di pensiero, per la quale è più utile produrre e utilizzare l’idrogeno localmente, evitando di trasportarlo sulle lunghe distanze, come nel caso dei metanodotti. Questa soluzione comporta la costruzione di un gran numero di piccoli impianti e idrogenodotti dedicati. Pioniere in questo senso è stato l’idrogenodotto inaugurato nel 2008 ad Arezzo: si tratta di 3,5 km di rete urbana, creata per portare idrogeno al distretto orafo della zona.

Tra gli sviluppi futuri, il progetto di Arezzo prevede la possibilità di estendere la rete per usi civili. Ce lo conferma Emiliano Cecchini, fisico e già assessore all’innovazione del comune toscano al tempo dell’inaugurazione. “In questo momento, la maggior parte dell’idrogeno immesso nel condotto proviene dallo steam reforming del metano e trasportato con carro bombolaio”, racconta Cecchini, che è membro della cooperativa energetica La fabbrica del sole. Ma abbiamo anche un elettrolizzatore a energia solare che produce 300 litri di idrogeno all’ora. In certi giorni può considerarsi una discreta quantità”. Attraverso il suo hydrolab, La fabbrica del sole ha in progetto quello di portare l’idrogeno in tutte le case, a partire dalla frazione San Zeno di Arezzo. 

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) appena consegnato alla Commissione europea punta su entrambe le soluzioni, sia che l’idrogeno venga trasportato verso clienti industriali o alle stazioni di rifornimento via camion cisterna sia che attraverso le condotte in mix col metano. Ma il Pnrr dedica 160 milioni di euro anche al tema della ricerca tecnico-scientifica sull’idrogeno, e tra i principali filoni di intervento c’è proprio lo “sviluppo di tecnologie per stoccaggio e trasporto di idrogeno e miglioramento della resilienza delle attuali infrastrutture in caso di maggiore diffusione dell’idrogeno”, come riporta il documento. 

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