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Perché l’idrogeno è al centro della strategia energetica europea (e di quella italiana)
L’Ue punta sull’idrogeno per raggiungere la neutralità carbonica. E l’Italia, per la sua posizione strategica, può diventare un importante hub commerciale.
Sviluppare la tecnologia dell’idrogeno in varie applicazioni per arrivare a un’Europa climaticamente neutrale nel 2050. Con questi obiettivi, nel mese di luglio la Commissione Ue ha pubblicato la sua strategia stanziando già importanti risorse. L’Italia, dal canto suo, figura insieme a Germania, Portogallo, Francia, Paesi Bassi e Spagna fra i Paesi che hanno definito le linee guida preliminari per una strategia nazionale per l’idrogeno, con una prima iniezione di risorse pari 10 miliardi. Si tratta di progetti ambiziosi, frenati al momento da una domanda piuttosto bassa e dai costi elevati di produzione; si dovranno inoltre sciogliere diversi nodi legati al quadro normativo, allo stoccaggio e al trasporto. A fare il punto della situazione è la fondazione Utilitatis, che in uno studio si concentra sulla strategia europea sull’idrogeno e sulle opportunità per il nostro Paese.
Stoccaggio e produzione: idrogeno grigio, blu e verde
C’è una peculiare caratteristica dell’idrogeno che lo rende centrale nel processo di transizione energetica: la possibilità di essere stoccato in grandi quantità e per un lungo periodo. Nei sistemi energetici può quindi integrare le fonti rinnovabili, perché permette di collegare tra loro reti energetiche, trasferendo l’eccesso di produzione dalle energie rinnovabili ad altri settori. Ma è fondamentale che sia creato e trasportato per l’uso finale in maniera sostenibile. Ad oggi il 95 per cento dell’idrogeno europeo (il restante 5 per cento è un sotto-prodotto dell’industria chimica) è prodotto tramite lo Steam methane reforming e il reforming autotermico, processi ad elevata intensità di carbonio: non a caso si parla di idrogeno grigio, perché vengono utilizzati combustibili fossili e sono prodotte emissioni di biossido di carbonio. Questi processi possono però essere associati a sistemi di cattura, uso e stoccaggio del carbonio che danno vita all’idrogeno blu. Nei casi in cui l’elettricità usata nel processo derivi da fonti rinnovabili, si parla invece di idrogeno verde.
Nella strategia europea, la priorità per il raggiungimento degli obiettivi di neutralità carbonica al 2050 è quella di sviluppare idrogeno blu nella fase di transizione a breve e a medio termine e idrogeno verde sul lungo periodo. La tabella di marcia stabilita da Bruxelles prevede tre fasi: la prima (2020-2024) per decarbonizzare l’attuale produzione di idrogeno, la seconda (2025-2030) in cui l’idrogeno verde diventerà parte essenziale del sistema energetico integrato europeo e una terza, dal 2031 al 2050, nella quale le tecnologie per l’idrogeno verde dovrebbero essere mature per uno sviluppo su larga scala, contribuendo alla decarbonizzazione entro il 2050.
Il settore automotive sta mostrando un forte interesse
Nel frattempo il settore automotive sta mostrando un crescente interesse verso questa tecnologia. È il caso di Toyota, che punta forte sulle celle a combustibile per favorire una società a zero emissioni, ed è in prima linea nell’innovazione dal 2014, quando lanciò sul mercato la Mirai; in sette anni il sistema è stato via via perfezionato diventando più compatto, leggero ed efficiente e debutterà con il lancio della Mirai di seconda generazione, ulteriormente migliorata dal punto di vista della potenza, dell’abitabilità, dell’autonomia e degli impatti ambientali. L’idrogeno resta una forte scommessa per il futuro della casa giapponese: non a caso in Europa sarà realizzato il Fuel cell business group, che dovrà supportare la diffusione di queste tecnologie nell’ambito della mobilità e non solo; anche per questo motivo Toyota si è unita alla Japan hydrogen association, un’associazione che promuove lo sviluppo delle tecnologie fuel cell.
Tuttavia, a livello di filiera, le barriere principali allo sviluppo – oltre a una rete di distribuzione carente – sono la domanda piuttosto bassa e i costi elevati di produzione. Da questo punto di vista, l’Unione europea mira a promuovere la creazione di un mercato efficiente che ne aumenti la quota all’interno del mix energetico. Con uno sforzo congiunto a livello nazionale, comunitario e internazionale, servirà poi un quadro normativo chiaro, che favorisca gli investimenti per l’impiego dell’idrogeno con particolare attenzione al tema della sicurezza. Per sostenere la crescita della domanda, il vettore si applicherà in alcuni settori specifici come quelli dei trasporti pesanti, delle ferrovie e dell’industria, specialmente in quei segmenti – dalla chimica alla raffinazione petrolifera – in cui è già impiegato come materia prima. Centrale sarà anche lo sviluppo delle hydrogen valleys: nel centro ricerche Casaccia di Enea sorgerà una hydrogen valley italiana, una sorta di cittadella per la sperimentazione delle tecnologie e la loro applicabilità industriale.
I tre modelli di produzione e trasporto individuati in Italia
Grazie alla sua posizione strategica nel Mediterraneo, l’Italia potrebbe diventare un hub commerciale dell’idrogeno a livello comunitario ed internazionale. Nelle Linee guida preliminari per la strategia nazionale, il Ministero dello sviluppo economico ha identificato tre modelli teorici di produzione e trasporto. Il primo prevede la produzione totalmente in loco, in cui la generazione di energia elettrica rinnovabile e la capacità di elettrolisi sono situate accanto al punto di consumo, per minimizzare i costi di trasporto. Il secondo modello presume la produzione in loco con trasporto di energia elettrica: in questo caso, l’energia elettrica rinnovabile viene generata in aree con un’alta disponibilità di risorse naturali e trasportata attraverso la rete al punto di consumo, dove viene poi convertita in idrogeno mediante elettrolisi. L’ultimo modello prevede la produzione centralizzata con trasporto di idrogeno; la generazione di elettricità rinnovabile e la capacità di elettrolisi sono situate in aree con un’alta disponibilità di risorse naturali, dove l’idrogeno viene prodotto e poi trasportato al punto di consumo attraverso una struttura dedicata che potrebbe sfruttare la rete esistente del gas, oppure attraverso altri metodi di trasporto appositamente adattati.
Ciascun modello presenta dei vantaggi e delle controindicazioni, quindi sarebbe opportuno adottare un mix delle possibili forniture. Qualunque sia la strada che si deciderà di percorrere, l’obiettivo italiano fissato al 2030 è di soddisfare una domanda di idrogeno verde di circa il due per cento del mix energetico, corrispondente a circa 0,7 megaton all’anno. Servirà una considerevole quantità aggiuntiva di energia elettrica generata da fonti energetiche rinnovabili, e di conseguenza sarà cruciale snellire e accelerare i processi di autorizzazione per l’istallazione di impianti rinnovabili. Per soddisfare parte della domanda, sono stati programmati investimenti per l’installazione di circa cinque gigawatt di capacità di elettrolisi entro il 2030.
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