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Se ci si occupa del sostentamento di un cane randagio, secondo la Corte di Cassazione si diventa responsabili anche di sue, eventuali, aggressioni.
Chi ama gli animali lo ha fatto almeno una volta nella vita: dar da mangiare a un piccolo randagio che staziona per ore vicino casa, all’ufficio o al parco dove portiamo i nostri cani. E vien automatico portargli del cibo e dell’acqua per rifocillarlo in qualche modo in attesa dell’arrivo delle guardie comunali o del legittimo proprietario. Purtroppo, però, la sollecitudine nei confronti degli animali smarriti o abbandonati, nasconde un brutto risvolto legale che può mettere il buon samaritano in seri guai come è stato recentemente stabilito dalla Corte di Cassazione che, in materia, ha fissato un principio giuridico non favorevole né all’uomo né all’animale.
Questa storia inizia in un paesino immerso nel verde della campagna palermitana. Ci sono due cani randagi tollerati e benvoluti da tutti e del cui sostentamento si occupa un signore con una casa proprio in prossimità di dove i due cani sono soliti fermarsi al sole. Per farli mangiare e bere, l’amante degli animali è solito aprire il cancello della sua villa, facendoli entrare e poi, una volta rifocillati, lasciandoli uscire in strada. Un’operazione semplice e di reciproca soddisfazione perché i cagnolini riservano al loro benefattore feste e mugolii. Stanno bene, nessuno ha da ridire. Un brutto giorno però, mentre i cani si trovano all’interno della villa intenti al loro pasto quotidiano – e forse proprio per questo – arriva un passante che si ferma a guardarli. Forse in qualche modo l’uomo infastidisce i cani, forse ha un fare minaccioso, forse gesticola o urla. Fatto sta che uno dei due animali, al quel punto, morde il passante. Arrivano i vigili, si materializza l’accalappiacani e l’incauto proprietario della villetta dove stavano mangiando i cani viene denunciato.
La faccenda finisce davanti al giudice di pace, con il quale l’amico dei due randagi si è difeso ribadendo che i cani non erano suoi, ma stavano solo mangiando all’interno della sua proprietà. Semmai era il comune a doversi prendere carico di loro e avere la responsabilità giuridica della condotta dei cani. Ma non c’è stato niente da fare. Così è scattata la multa – ben 200 euro – e l’uomo è stato condannato. La cosa non è finita lì per il buon samaritano siciliano che è ricorso in appello fino ad arrivare al supremo grado di giudizio: quello della Corte di Cassazione che ha respinto le sue profferte di innocenza e ha ribadito la condanna in questi termini: “La posizione di garanzia assunta dal detentore di un cane, impone l’obbligo di controllare e di custodire l’animale adottando ogni cautela per evitare e prevenire le possibili aggressioni a terzi”.
Ma il tutto vale anche se i cani erano randagi e quindi non di proprietà e se erano solo abituati a entrare nel cancello aperto della villetta per rifocillarsi? “In questo caso – spiega l’avvocato Francesca Gentilini – la Corte di Cassazione ha ritenuto evidente che i cani frequentassero abitualmente il cortile dell’abitazione in questione, trovandovi rifugio e cibo come se fossero animali di proprietà”.
Nella fattispecie, infatti, la Corte ha ribadito nella sentenza di condanna che “il ricorrente si era volontariamente assunto la custodia dei cani dando loro cibo e rifugio”. Tutte cose che per noi fanno parte del normale – e doveroso – amore verso gli animali, ma per la legge si configurano in una assunzione di responsabilità e, quindi, nel doversi far carico anche di eventuali manchevolezze o aggressioni dei cani aiutati. Lasciamo al lettore ogni riflessione relativa al fatto se una cosa simile sia accettabile in una società civile e realmente rispettosa di ambiente e animali.
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