
Cosa è successo e cosa possiamo imparare dal crollo del ghiacciaio del Birch.
La rapida evoluzione della tecnologia condanna all’obsolescenza computer e cellulari ancora funzionanti, ma questo consumismo hi-tech ha un peso ambientale e sociale enorme.
Contrariamente ad altri prodotti, non serve una data di scadenza
per capire quando computer e cellulari sono diventati “vecchi”: il
design e le tecnologie in essi applicati ci aiutano a distinguere
un oggetto datato da uno di ultima generazione. In questa opera di
riconoscimento, siamo sicuramente guidati da abili
pubblicità che solleticano il nostro desiderio di nuovi
gadget hi-tech e da standard qualitativi in crescita vertiginosa.
Ma che fine fanno PC e telefonini ormai obsoleti?
Per capire quanto “pesi” sull’ambiente lo smaltimento di questi
prodotti elettronici (e-waste), basterà sapere che un
Personal Computer standard, secondo i dati forniti nel dossier di
WWF Italia e Consorzio Ecoqual’IT “L’E-WASTE ladri di futuro”
(2002), contiene:
· Plastica – costituente in media il 22.9% del peso totale e
riciclabile attualmente al 20%;
· Piombo – pari al 6.3% del peso e riciclabile al 5%;
· Ferro – pari al 20.5% del peso e riciclabile all’80%;
· Alluminio – pari al 14.2% del peso e riciclabile
all’80%;
· Rame – pari al 6.9% del peso e riciclabile al 90%;
· Stagno – pari al 1.0% e riciclabile al 70%;
· Zinco – pari al 2.2% e riciclabile al 60%;
· Oro – pari al 0,0016% e riciclabile al 99%;
· Silicio – pari al 24.8% e non riciclabile;
· Cadmio, mercurio e cromo – in quantità minima, ma
assolutamente non riciclabile.
Le dimensioni del problema sono decisamente in aumento: per
esempio, soltanto nell’Unione Europea ogni cittadino produce 20 kg
di rifiuti tecnologici all’anno. Ma il disastroso impatto
ambientale non è l’unica conseguenza dell’e-waste, che
presenta purtroppo anche ripercussioni drammatiche dal punto di
vista sociale: da una ricerca condotta nel 2001 da Greenpeace China
e dalle associazioni ambientaliste BAN e SVTC, è emerso che
i rifiuti tecnologici sono esportati nei paesi più poveri
del mondo, dove vengono disassemblati senza nessun tipo di
precauzione per 1,50 $ al giorno dalla manodopera locale. Per
impedire questo traffico già dal ’94 è attiva la
Convenzione di Basilea, ratificata da molte nazioni ma non dagli
Stati Uniti, che rappresentano da soli i maggiori esportatori e
produttori di rifiuti elettronici al mondo. Dal 2005, inoltre,
nella UE entrerà in vigore la Direttiva WEEE (Waste
Electrical and Electronic Equipment), che obbligherà le
aziende di hi-tech a provvedere allo smaltimento dei propri
prodotti in disuso. Prima di “condannare a morte” i nostri vecchi
computer e cellulari, però, pensiamo che si possono
riciclare: non tanto nei componenti, ma regalandoli ad associazioni
che li rimetteranno in uso.
Olimpia Ellero
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