Emissioni di CO2, il Regno Unito vuole fare meglio dell’Unione europea

Il Regno Unito ha annunciato la volontà di ridurre le emissioni di CO2 di almeno il 68 per cento, entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990.

Il governo del Regno Unito ha annunciato, giovedì 3 dicembre, la decisione di incrementare le proprie ambizioni in termini di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. La volontà dell’esecutivo di Londra è infatti di centrare un calo “di almeno il 68 per cento”, di qui al 2030, rispetto ai livelli del 1990.

Il Regno Unito presenta i suoi nuovi impegni alle Nazioni Unite

Il tutto è stato inserito all’interno dei cosiddetti Ndc. Sigla con la quale gli addetti ai lavori indicano le Nationally determined contributions: le promesse di riduzione delle emissioni di CO2 avanzate dai governi di tutto il mondo. Esse furono inviate all’Unfccc, la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, nel 2015, prima della Cop 21 che portò al raggiungimento dell’Accordo di Parigi.

I calcoli effettuati nel corso del tempo, tuttavia, hanno mostrato che tali impegni, pur se rispettati, non basteranno a limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 2 gradi centigradi, nel 2100, rispetto ai livelli pre-industriali. Anche se tutte le nazioni rispettassero la parola, si arriverebbe infatti a 3,2 gradi.

cop26 sul clima, la presentazione di conte e johnson
Il primo ministro inglese Boris Johnson e il presidente del consiglio italiano Giuseppe Conte in occasione della presentazione della Cop 26, poi rinviata per la pandemia © Chris J Ratcliffe-WPA Pool/Getty Images

Per questo le Nazioni Unite hanno chiesto al mondo intero di rivedere le promesse, presentando nuovi Ndc. A farlo, però, finora sono state solo poche nazioni particolarmente vulnerabili di fronte agli sconvolgimenti provocati dai cambiamenti climatici: è il caso delle Isole Marshall, del Suriname, dello Zambia, del Ruanda o ancora della Tailandia.

Un summit sul clima in occasione del quinto anniversario dell’Accordo di Parigi

Il Regno Unito si pone dunque, di fatto, come “apripista”. E lo fa ad una settimana dalla conferenza online sul clima che è stata co-organizzata dal governo inglese assieme alla Francia (e all’Onu) per il 12 dicembre, in occasione del quinto anniversario dell’Accordo di Parigi. L’annuncio da parte di Downing Street segue inoltre la presentazione di un programma di transizione energetica con il quale si punta a creare 250mila posti di lavoro verdi in dieci anni. E che prevede anche il divieto di vendere auto a benzina o diesel di qui al 2030.

“Possiamo ridurre le nostre emissioni creando al contempo centinaia di migliaia di nuovi impieghi, facendo lavorare assieme le imprese, le università, le organizzazioni non governative e le comunità locali, con l’obiettivo comune di lottare contro il riscaldamento globale”, ha affermato il primo ministro Boris Johnson. La promessa di ridurre le emissioni del 68 per cento entro il 2030, in effetti, è più ambiziosa rispetto a quella dell’Unione europea. Quest’ultima punta infatti a passare dal 55 al 60 per cento. Ma l’impegno, pur approvato dal Parlamento, non ha ancora ricevuto il via libera del Consiglio europeo.

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