Regno Unito, l’apertura di una nuova miniera di carbone stride con gli impegni per il clima

Proporsi come leader globale nell’azione per il clima e, nel frattempo, aprire una nuova miniera di carbone. È il paradosso in cui è incorso il Regno Unito.

Una questione locale, da lasciar gestire liberamente alle autorità locali. Con questa giustificazione, il governo britannico ha preferito non opporsi all’apertura di una nuova miniera di carbone nella contea di Cumbria. Una decisione che stride fortemente con l’intento del Regno Unito di fare da apripista nella lotta contro i cambiamenti climatici.

Semaforo verde per una nuova miniera di carbone

La nuova miniera si chiamerà Woodhouse Colliery e sorgerà nella costa nord-occidentale dell’Inghilterra, tra Whitehaven e St. Bees. Di proprietà della società West Cumbria Mining, garantirà un approvvigionamento di circa 2,5 milioni di tonnellate di carbone da coke ogni anno, dando lavoro a circa 500 addetti. La costruzione e la messa in opera del sito dureranno un paio d’anni, per un costo stimato di circa 185 milioni di euro. Il combustibile fossile viaggerà poi via treno verso le acciaierie di Port Talbot, in Galles, e del Lincolnshine, nel nord dell’Inghilterra.

Erano almeno trent’anni che nel Regno Unito non veniva approvata una miniera di carbone in profondità, sottolinea il quotidiano The Independent. Eppure, il progetto ha ottenuto il semaforo verde da parte dell’amministrazione della contea già a marzo 2019. Il governo è stato interpellato a più riprese, ma ha sempre preferito tenersi al di fuori della faccenda. Si tratta di una decisione “di rilevanza locale”, ha ribadito in conferenza stampa Joanna Averley, responsabile dell’urbanistica per il ministero dell’Edilizia abitativa, delle comunità e del governo locale del Regno Unito. Una decisione che, sostiene, va quindi demandata alle autorità locali, senza interferenze di sorta.

Miniera di carbone, regno unito
L’ultimo giorno di scavi presso la miniera di carbone di Durham, in Inghilterra. I proprietari avevano l’autorizzazione per continuare a operare nel 2021 ma hanno preferito fermarsi già nell’estate 2020 © Ian Forsyth/Getty Images

Il governo britannico incappa in una gigantesca contraddizione

Hanno però un impatto tutt’altro che locale le emissioni di CO2 legate alle attività della miniera, fanno notare le organizzazioni ambientaliste. “È straordinario che qualcuno ancora pensi che bruciare carbone sia solo una questione locale e non abbia impatti globali”, ha replicato alla Bbc John Sauven, direttore esecutivo di Greenpeace Uk. “Speriamo che la Cina non la pensi così, altrimenti siamo finiti. Questo episodio di sicuro non sancisce la leadership globale sul clima a cui il primo ministro dice di aspirare”.

Sul contrasto alla crisi climatica, infatti, l’esecutivo si gioca buona parte della sua credibilità. Dopo aver ereditato da Thereza May l’obiettivo di azzerare le emissioni nette di CO2 entro il 2050, Boris Johnson ha annunciato la volontà di ridurle almeno del 68 per cento entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990. Un target ancora più ambizioso rispetto a quello sancito dall’Unione europea, da cui il Regno Unito ha ufficialmente divorziato dopo una trattativa durata più di quattro anni.

Come se non bastasse, proprio Glasgow avrà l’onore e l’onere di ospitare la Cop 26, la conferenza in cui i leader globali si riuniranno per dibattere sul futuro del clima. Un appuntamento originariamente previsto per il 2020 ma rimandato a novembre 2021 a causa della pandemia. Indebolito da questa gigantesca contraddizione, il governo britannico rischia di “diventare uno zimbello internazionale”, commenta amaro Paul Miner, esponente dell’organizzazione no profit Cpre.

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