L’Europa verso l’abbandono del controverso Energy charter treaty

Nato per favorire gli investimenti fossili nell’ex blocco sovietico, diversi paesi membri ora vogliono abbandonare l’Energy charter treaty.

  • L’Energy charter treaty (Ect) è un accordo stipulato nel 1994 per proteggere gli investimenti fossili nei paesi dell’Europa orientale che, all’epoca, si affacciavano al sistema capitalistico per la prima volta.
  • Negli anni, però, le società private hanno sfruttato tale accordo per avviare azioni legali contro gli stati che adottavano misure a favore del clima.
  • La Spagna e altri paesi europei, tra cui la Germania, propongono un’uscita coordinata e collettiva dal trattato.

Con un’incredibile “inversione a U”, la Commissione europea ha proposto un’uscita di gruppo concertata da tutti i 27 stati membri dall’Energy charter treaty (Ect), un accordo internazionale molto discusso, nato negli anni Novanta per proteggere gli investitori del settore energetico europeo.

La centrale elettrica di Turow
La centrale elettrica e la miniera di carbone di Turow, in Polonia © Omar Marques/Getty Images

Che cos’è l’Energy charter treaty

Con 53 firmatari, si tratta del trattato più “litigato” della storia degli accordi internazionali: firmato a Lisbona nel 1994 con l’obiettivo di promuovere una cooperazione trans-frontaliera nel settore dell’energia, in particolare tra i due fronti della “cortina di ferro” (la linea di confine che ha diviso l’Europa in due zone separate di influenza politica, dalla fine della seconda guerra mondiale alla fine della guerra fredda), il trattato nacque per offrire più garanzie alle società occidentali che volevano investire negli ex-stati della galassia di influenza sovietica, che allora stavano passando a un modello di capitalismo di mercato e avevano molte risorse fossili in attesa di essere sfruttate.

Sotto l’egida dell’Ect, gli investitori potevano operare protetti dal rischio di espropri, di nazionalizzazioni, di violazioni dei contratti e da tutte le circostanze impreviste che potevano avere un impatto sulle prospettive di profitto.

Così le società dei fossili potevano fare causa agli stati

Ma a differenza delle aspettative, l’Ect divenne presto un sistema arbitrale privato, con sentenze giuridicamente vincolanti: appellandosi agli strumenti previsti dal trattato per risolvere le controversie, infatti, le società che gestivano giacimenti di combustibili fossili e centrali elettriche potevano avviare azioni legali contro gli stati sempre più impegnati a sviluppare e adottare leggi di contrasto ai cambiamenti climatici e di riduzione delle emissioni di CO2.

Come evidenziato dai suoi detrattori, l’accordo ha finito per fornire una protezione sproporzionata alle infrastrutture dei combustibili fossili, del valore di 344,6 miliardi di euro, in un momento critico in cui gli inquinanti devono essere gradualmente eliminati per combattere la crisi climatica.

Nel tentativo di allineare il trattato all’agenda verde dell’Ue, che prevede una riduzione del 55 per cento delle emissioni di gas serra entro il 2030, la Commissione europea ha proposto di rivedere l’accordo, proibendo le azioni legali tra governi e investitori, che si stima rappresentino quasi il 75 per cento di tutti i casi legali nell’ambito dell’Ect.

I prossimi passi dell’Energy charter treaty

A giugno 2022 è stato raggiunto un accordo di massima intorno a una bozza di revisione del trattato, ma Germania, Francia, Spagna e Paesi Bassi si sono opposti. L’opposizione di questi paesi ha lasciato il processo di riforma del trattato in una “terra di nessuno”, spingendo paesi quali Polonia, Lussemburgo, Austria e Belgio a pianificare un’uscita simile.

Senza una riforma approvata in sede istituzionale, i paesi che abbandonano il trattato possono però subire contenziosi ancora per 20 anni. “Nonostante gli sforzi della Commissione per negoziare un Energy charter treaty modernizzato in linea con il mandato negoziale conferitoci dagli stati membri, non esiste una maggioranza qualificata in sede di Consiglio”, ha spiegato un portavoce della Commissione europea. Infatti, un trattato non aggiornato non è in linea con la politica dell’Ue in fatto di protezione degli investimenti e del Green Deal europeo.

La Commissione ha presentato ai governi una tabella di marcia su come procedere con un ritiro collettivo ma non sono stati ancora forniti ulteriori dettagli su quali siano le tempistiche da seguire.

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