Il fondo Engine No.1 è riuscito a far eleggere due suoi membri nel consiglio di amministraione della ExxonMobil. Una risultato storico per l’azionariato critico.
Il fondo di attivisti Engine No.1, che negli ultimi mesi ha criticato spesso la gestione della ExxonMobil sui temi dei cambiamenti climatici, è riuscito a far eleggere due dei suoi quattro candidati nel consiglio d’amministrazione della compagnia petrolifera.
Chi sfida la ExxonMobil
Dopo una lotta durata sei mesi e una campagna costatamilioni di dollari, gli investitori Gregory Goff, ex amministratore delegato della società petrolifera americana Andeavor, e Kaisa Hietala, dirigente che ha guidato il passaggio della società energetica finlandese Neste verso i biocarburanti, ora potranno far valere le loro posizioni all’interno della ExxonMobil.
A group of insurgent investors backed by the three largest pension funds in America are trying to force ExxonMobil to take climate change much more seriously — not just for the sake of the company’s viability but also for the sake of the planet. https://t.co/zr5DRtsYCK
— The Washington Post (@washingtonpost) May 21, 2021
Gli altri due candidati del fondo erano Alexander Karsner, ex funzionario del dipartimento di energia americano e ora senior strategist presso ‘X’ (l’innovation lab di Alphabet, società madre di Google) e Anders Runevad, ex amministratore delegato del produttore danese di turbine eoliche Vestas wind systems.
Cos’è l’azionariato critico
Lo strumento messo in campo da Engine No.1 si chiama azionariato critico: una organizzazione non profit o un gruppo di pressione acquista un piccolo pacchetto di azioni di grandi società, per ottenere il diritto di partecipare alle assemblee e sottoporre questioni cruciali in materia di responsabilità sociale e ambientale. Si tratta di uno strumento di pressione interna, mirato a denunciare le attività che stridono con comportamenti etici e sostenibili.
Durante l’ultimo consiglio d’amministrazione della ExxonMobil, in cui si votava il rinnovo dei vertici, la seduta è stata interrotta per oltre un’ora. Una mossa che a molti è apparsa disperata ma che non ha potuto evitare l’inevitabile: il piccolo e giovane fondo d’investimenti Engine No.1 ha ottenuto il sostegno di tre grandi gestori di fondi d’investimento – BlackRock, Vanguard e State Street – che insieme detengono oltre il 20 per cento delle azioni di ExxonMobil.
“Gli investitori si stanno svegliando”, ha detto Anne Simpson, direttrice di un fondo pensioni anch’esso azionista della compagnia, dopo la votazione. Infatti quello di ExxonMobil non è un caso isolato: nella stessa settimana, anche gli investitori di Chevron, altro big del settore oil&gas, hanno chiesto alla compagnia di impegnarsi a ridurre le proprie emissioni climalteranti e un tribunale olandese ha ordinato alla compagnia Shell di ridurre le proprie emissioni del 45 per cento entro il 2030.
Una fabbrica del consenso che spende milioni per pubblicità mirate a indebolire le campagne e le misure necessarie a contrastare i cambiamenti climatici.
Malgrado gli impegni, le emissioni di CO2 legate al settore dell’energia hanno segnato un nuovo record nel 2023, arrivando a 37,4 miliardi di tonnellate.
Per l’Agenzia internazionale per l’energia, l’obiettivo 1,5 gradi “è a portata di mano” se si investiranno 4.500 miliardi di dollari l’anno da qui al 2030.