Per abbattere l’impatto ambientale dell’agricoltura, il governo della Danimarca ha deciso di convertire in foreste il 10 per cento dei campi coltivati.
Filippine, il terrore sotto Duterte nella testimonianza di un missionario italiano
Un racconto inedito e tragico dalle Filippine i cui abitanti vivono nel terrore e nella violenza di stato sotto la presidenza di Rodrigo Duterte.
Decine di migliaia di morti “nella guerra alla droga”. Almeno 27mila, finora, secondo le Nazioni Unite. Fra loro, tantissimi poveri, giovani, minorenni. Preti cattolici che si sono opposti ai massacri, ora sotto minaccia. Impunità e corruzione dilaganti, nonostante le promesse elettorali. Periferie abbandonate a loro stesse, disuguaglianze estreme, mentre il prodotto interno lordo (pil) cresce in media del 6 per cento dal 2011. Questo è il racconto inedito e tragico di come si vive nelle Filippine sotto la presidenza di Rodrigo Duterte. A parlare è il missionario Giovanni Gentilin, profondo conoscitore dell’arcipelago asiatico, che dal 1989 è impegnato in una delle sue periferie più estese.
Il religioso Gentilin, 76 anni, dell’ordine dei Canossiani, ci parla da Tondo, distretto a nordovest della capitale Manila. In questa immensa baraccopoli, abitata da un milione di persone, si occupa di adozioni a distanza e di una clinica per la cura della tubercolosi con il sostegno della onlus italiana Una mano aiuta l’altra. Nella bidonville, allo smog che affligge l’intera metropoli, si aggiungono le cosiddette “smokey mountain”, montagne di rifiuti a cielo aperto che con le loro esalazioni rendono l’aria ancor più irrespirabile. Malgrado i rischi per la salute, adulti e bambini si arrampicano per cercare qualche oggetto da riciclare. Dal 2008, Gentilin ha inaugurato anche un ambulatorio in collina, a 80 chilometri da Manila. Per purificarsi dall’aria avvelenata della capitale, lui stesso vi trascorre gran parte della settimana insieme con gli ospiti di Tondo affetti da malattie respiratorie.
Quando lo raggiungiamo al telefono, Gentilin è molto preoccupato e pensa che questa intervista sia “un’opportunità per chiarire molte cose”. Da quasi tre anni Rodrigo Duterte è presidente. In una delle sue innumerevoli esternazioni si è addirittura definito “l’Hitler delle Filippine”. Duterte si è distinto soprattutto per la sua “guerra alla droga” con la quale ha detto di voler uccidere tre milioni di esseri umani coinvolti nell’uso e nel traffico di stupefacenti. Dal giugno 2016 a oggi, il bilancio è tragico. Squadroni della morte e poliziotti hanno assassinato – per mezzo di esecuzioni extragiudiziali – 27mila individui fra spacciatori, tossicodipendenti, innocenti. In Asia, una precedente “war on drugs” ci fu nel 2003 in Thailandia. Sotto l’allora primo ministro Thaksin Shinawatra furono uccise 2.800 persone in tre mesi. Una campagna atroce, anche se più breve e di conseguenza con meno morti.
Rodrigo Duterte, ex sindaco della città meridionale di Davao e noto per i metodi borderline, ha conquistato l’elettorato nazionale con promesse drastiche di cambiamento. Divenuto capo di stato, si è permesso di insultare chiunque volesse, da papa Francesco a Barack Obama, dagli omosessuali alle donne. In patria ha attaccato chi lo ha contestato, come la giornalista Maria Ressa, la senatrice Leila de Lima e Maria Lourdes Sereno, ex capo della Corte suprema di giustizia. Per Michel Forts, relatore speciale delle Nazioni Unite, il presidente Rodrigo Duterte ha preso di mira le tre donne per la loro difesa dei diritti umani. L’Icc, International criminal court, dopo l’uscita delle Filippine dal trattato che l’ha costituito, sta continuando a indagare il suo operato per crimini contro l’umanità. Time Magazine Asia lo ha soprannominato The Punisher, il castigatore. La violenza sembra essere nel suo dna politico. Qualcuno dice anche la follia.
“Almeno 10 giovani uccisi nel territorio della nostra parrocchia”
“Lo scorso autunno – racconta Gentilin – vicino a dove mi trovo, in un campo di pallacanestro, che è lo sport nazionale, un ragazzo di 15 anni si stava riposando su una panchina con il volto coperto da un panno. Un vigilante si è avvicinato con la pistola in pugno e l’ha ammazzao esclamando: ‘Ho sbagliato’. Nello stesso periodo un nostro ragazzo di 16 anni, Marco, che ha studiato grazie all’adozione a distanza, ha assistito all’uccisione di suo padre perché sospettato di essere spacciatore. Nel territorio della nostra parrocchia almeno dieci giovani sono stati uccisi”.
Duterte ha anche lanciato una campagna di denigrazione contro la Chiesa cattolica che si è opposta alla sua “war on drugs”, dicendo che i vescovi andrebbero uccisi. “Uno di loro, un mio carissimo amico, monsignore Socrates Villegas, riceve minacce di morte. Il presidente ha preso di mira proprio i religiosi cattolici che sono in prima linea nel difendere i poveri. E – ricordiamolo – ha promesso di sterminare tre milioni di esseri umani, perché spacciano o si drogano”. Mentre scriviamo le uccisioni continuano. Per Gentilin si tratta di “genocidio”.
Dopo quasi tre anni, quanto consenso ha il presidente Rodrigo Duterte fra la popolazione?
Purtroppo, la percentuale di consenso da parte del popolo è ancora alta, circa il 60 per cento. Soprattutto fra i filippini (oltre 10 milioni, dei quali circa 168mila in Italia secondo indagine Istat 2018, ndr) che lavorano in vari paesi all’estero. Nel paese la percentuale si sta abbassando a causa del suo comportamento ‘dittatoriale’, che sta seminando paura, terrore.
Com’è cambiata la vita quotidiana in questi tre anni e quali sono le differenze fra Manila e il resto delle Filippine?
Manila, la capitale con i suoi 14 milioni di abitanti, apparentemente è sicura. Tantissima polizia presiede tutti i punti chiave della città. La disuguaglianza è enorme. Quartieri ricchi, protetti, e periferie poverissime, come Tondo. Più di tre milioni sono i cosidetti ‘squatters’ che vivono per strada o in baracche, senza le minime condizioni igieniche, senz’acqua, spesso senza energia elettrica. La povertà aumenta sempre di più. Le province sono povere. Ogni filippino sogna di trasferirsi a Manila, ma nella capitale non si trova facilmente lavoro, né una casa. Molti migranti interni allora si arrangiano. Si accampano sotto i ponti e un po’ dovunque.
In base alla sua esperienza, quale idea si è fatto della “guerra alla droga” di Duterte? Ha colpito i narcotrafficanti o – come sostengono in molti – piccoli spacciatori e anche innocenti?
La guerra alla droga è una delle situazioni peggiori che sia mai capitata a questo paese. Durante la campagna elettorale di tre anni fa, annunciando il suo programma politico, Duterte aveva detto che avrebbe estirpato la droga e conseguentemente gli spacciatori, i quali sarebbero più di tre milioni. È stato eletto in grande maggioranza dai giovani, ‘in nome del cambiamento’, ma certamente gli è sfuggito il metodo. Immediatamente, il presidente ha dato ordine di uccidere i tossicodipendenti ovunque, anche per strada. C’è stata e continua una caccia all’uomo. Le squadre dei cosiddetti ‘vigilantes’, in tutte le città e regioni della nazione, uccidono senza che vengano fatte indagini e processi, come si addice a un paese civile.
A Tondo cosa sta succedendo?
L’autunno scorso, vicino a dove mi trovo, in un campo coperto di pallacanestro, che è lo sport nazionale, un ragazzo di 15 anni stava riposando su una panchina con il volto coperto da un panno. Un vigilante si è avvicinato con la pistola in pugno e l’ha ammazzato esclamando: ‘Ho sbagliato’. Un altro ragazzo di 16 anni, Marco, che aiutiamo a studiare con il progetto di adozioni a distanza, ha assistito all’uccisione di suo padre perché sospettato di essere spacciatore. Ora è traumatizzato. Nel territorio della nostra parrocchia più di dieci giovani sono stati uccisi. Molti, è vero, per poter sopravvivere con i loro figli, con la loro famiglia, spacciano. Lo spaccio non va per niente bene, ma uccidere è empio. La vita è sacra.
Cosa si dovrebbe fare per contrastare la diffusione della droga?
Non c’è la minima volontà di creare delle strutture di recupero, delle cosiddette comunità terapeutiche. Duterte ha detto più volte che tossicodipendenti e spacciatori sono circa tre milioni e vuole sterminali tutti. A fine dicembre 2018, gli uccisi erano almeno 27 mila, come denunciato dall’Onu. E si continua…. È un genocidio.
Lei, che da più di trent’anni anni vive nelle Filippine, come ha visto crescere la popolarità di Duterte, ex sindaco di Davao?
Ho speso decenni di vita con i poveri, soprattutto a Tondo. Secondo la mentalità comune nelle Filippine e in Asia, si tratterebbe del luogo più malfamato, disagiato del continente; abitato da ladri, violenti, assassini. Non è vero! Come dappertutto ci sono buoni e cattivi, e non sappiamo precisamente chi siano. Con l’arrivo di questo presidente, le cose sono peggiorate. Era sindaco da molti anni (quasi trenta, ndr) di Davao, una città nel sud delle Filippine. Durante la sua amministrazione comunale ha sbaragliato tutti, eliminando ogni avversario con mezzi atroci, dando persino in pasto ai coccodrilli chi non la pensava come lui. Nel nord delle Filippine e a Manila, in realtà, non era tanto conosciuto. Si è presentato come l’uomo nuovo che avrebbe cambiato in meglio le Filippine, ma con il pugno teso, con la forza. Non ha cognizione di cosa sia la politica. Ripeto, questa volta sono stati i giovani a eleggerlo. Ma non è un politico democratico. Si comporta come un dittatore.
Anche i figli di Duterte hanno incarichi politici.
Qui, la maggioranza delle persone con un potere politico lo tramanda ai famigliari. Infatti, la figlia Sara ha preso il posto del padre come sindaco di Davao. Il figlio Paolo, si è dimesso da vice-sindaco di Davao, dopo essere stato accusato (e poi prosciolto, ndr) proprio di traffico di droga. A proposito: Duterte, appena eletto, ha aumentato lo stipendio a tutto il corpo di polizia del Paese. Lui sa che una buona percentuale dei poliziotti assume droga e spaccia, ma li protegge perché per lui rappresentano una protezione. A parole dice di combattere la corruzione, quando lui e il suo entourage sono corrotti.
Nelle periferie, tra le quali Tondo, come viene visto Duterte?
Nelle periferie, che sono molte, la maggioranza dei poveri non è molto interessata alla politica. La loro prima preoccupazione è la sopravvivenza. Quando è il momento di votare, moltissimi non ci vanno. In tanti, per non essere uccisi, stanno scappando in province lontane da Manila. Diversi individui, madri, padri, sono come ‘spariti’, lasciando a casa i figli da soli.
Com’è attualmente il rapporto con la Chiesa filippina e con i missionari che svolgono un lavoro umanitario come il suo?
Pessimo, sebbene l’81 per cento della popolazione sia cattolico. In generale, il popolo filippino è religioso. Stanno proliferando anche gruppi protestanti, soprattutto di tipo settario. Duterte ha iniziato una campagna di denigrazione, un attacco ai vescovi e ai sacerdoti, parlando di errori e scandali. Ha incitato addirittura a uccidere i vescovi. Lo scorso anno in 4 mesi sono stati uccisi 3 sacerdoti in circostanze non ben definite. Ha iniziato una persecuzione sotto traccia. Invita i cattolici a non andare più in chiesa, a farsi una cappella nella loro casa. Assurdo, visto che più del 70 per cento dei filippini non ha una vera casa in muratura. Incita a non andare a confessarsi tanto i preti sono tutti corrotti, hanno l’amante ecc. Un giorno, davanti ai giornalisti ha detto: ‘Chi è questo stupido Dio? Cosa sono tutte le storielle che vengono raccontate nella Bibbia? Il mio dio è quello vero, quello giusto’. Quale, non si sa. Inoltre, nei suoi discorsi politici intercala spesso parolacce che vanno contro alla più elementare buona educazione.
Ci parli dei religiosi minacciati da questa propaganda.
La Chiesa cattolica è l’unico baluardo di aiuto agli indigenti. Gli altri gruppi, cosiddetti cristiani, stanno in silenzio. Probabilmente, hanno interesse a non parlare. Duterte, infatti, ha preso di mira due vescovi, che difendono i poveri come dei ‘leoni’. Costoro hanno condannato apertamente le uccisioni sommarie degli ultimi tre anni. Uno è un mio carissimo amico: monsignor Socrate Villegas. Lui me l’ha detto più volte, quando ci siamo incontrati, di essere minacciato a morte, raccomandandomi di ricordarlo nella preghiera.
La Chiesa cattolica come sta reagendo alle intimidazioni?
Quasi tutte le parrocchie si sono fatte promotrici di salvaguardare i perseguitati della ‘guerra alla droga’. La polizia per legge non può eseguire arresti nel territorio della Chiesa. Tuttavia, dei preti, soprattutto nelle province, hanno dovuto cambiare sede per non essere uccisi.
Duterte ha disatteso molte promesse, come quella di migliorare il sistema educativo e sanitario. In realtà, come si vive nelle periferie rispetto a quando è arrivato lei?
I poveri continuano a morire per mancanza di accesso alle cure mediche. Le scuole sono sempre affollate di studenti. Gli insegnanti sono mal pagati. Il materiale didattico è quasi inesistente. I più poveri non ci vanno neppure a scuola. Con le adozioni a distanza cerchiamo di aiutarli a far studiare i figli. Inoltre, Duterte ha compiuto un’inversione di rotta in politica economica. Da autoproclamato nemico della Cina nei primi tempi, ora si dice amico di questo grande paese. Nel nord delle Filippine c’è una grande ricchezza di risorse, petrolio, gas, oro. Credo che Duterte stia ‘vendendo’ le Filippine (tradizionale alleato degli Stati Uniti, ndr) alla Cina.
Immagine di copertina: Un bambino a Tondo © Marco Pieropan / Una Mano Aiuta L’Altra
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