Frank Raes. Perché (e come) tutti possiamo agire contro la crisi climatica

“Greta Thunberg è arrivata al momento giusto, come quell’unico granello che si aggiunge a una bella montagna di sabbia e che causa la valanga”. Parole di un certo peso se pronunciate da Frank Raes, storico climatologo, tra i primi scienziati a lavorare, per conto della Commissione europea, proprio alle connessioni tra inquinamento atmosferico e cambiamenti

Greta Thunberg è arrivata al momento giusto, come quell’unico granello che si aggiunge a una bella montagna di sabbia e che causa la valanga”. Parole di un certo peso se pronunciate da Frank Raes, storico climatologo, tra i primi scienziati a lavorare, per conto della Commissione europea, proprio alle connessioni tra inquinamento atmosferico e cambiamenti climatici. Già a capo dell’Unità rischi dei cambiamenti climatici all’European joint research center di Ispra dal 1999 fino al 2015.

La generazione Greta Thunberg ha ragione nel chiederci conto

Oggi, lo scienziato di origine belga continua incessante la sua attività di divulgazione sulla crisi climatica, incentrata su ciò che possiamo fare per riparare ai danni prodotti dall’uomo alla Terra. A partire dalle riflessioni sull’epoca che stiamo vivendo, l’Antropocene. Tema a cui ha dedicato la sua casa-museo a Laveno Mombello, dove lo abbiamo incontrato a poche settimane dalla prossima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop 25), che si terrà a Madrid dal 2 al 13 dicembre.

Non solo scienziato: Frank Raes, nel laboratorio della casa museo sull'Antropocene a Laveno Mombello, prosegue nell'opera di ricerca, selezione e lavorazione di manufatti e di articoli che possano contribuire a chiarire fatti e dati sullo stato di salute della Terra e del clima mondiali. © Mara Budgen / LifeGate
Non solo scienziato: Frank Raes, nel laboratorio della casa museo sull’Antropocene a Laveno Mombello, prosegue nell’opera di ricerca, selezione e lavorazione di manufatti e di articoli che possano contribuire a chiarire fatti e dati sullo stato di salute della Terra e del clima mondiali © Mara Budgen / LifeGate

“Le nuove generazioni hanno ragione nel chiederci conto. Sono loro che oggi si devono adattare e correre ai ripari dagli interventi umani sull’ecosistema, fonte dell’aumento di anidride carbonica e degli inquinanti. Questi ragazzi sono una ventata di speranza, perché ricordano al mondo politico, economico e finanziario, che ognuno di noi può fare qualcosa contro il riscaldamento globale. Ciò che noi scienziati abbiamo cercato di fare, mettendo il sistema sotto stress, con la mole delle nostre ricerche e prove scientifiche, per decenni”.

Da vent’anni connessioni certe tra inquinamento e cambiamenti climatici

Proprio a Raes e al suo gruppo di lavoro all’interno del Joint research centre di Ispra dobbiamo molte delle informazioni che hanno fatto luce sulle connessioni tra inquinamento atmosferico e riscaldamento globale. E sulle loro, ormai certe, ricadute su salute e ambiente. “Per lungo tempo governi e ricercatori hanno considerato i due problemi separatamente. Con i nostri studi abbiamo dimostrato, già vent’anni fa, che l’aumento dell’anidride carbonica e degli inquinanti erano le due facce della stessa medaglia, sia per i cambiamenti climatici che per la nostra salute”, racconta Raes.

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“La fonte di entrambi era la stessa: l’uso dei combustibili fossili. Nelle industrie, nell’agricoltura, nei trasporti. Gli inquinanti atmosferici, derivanti da petrolio e gas portano alla formazione di ozono troposferico e particolato (pm) che hanno effetti sulla vita degli uomini e degli ecosistemi”. Effetti contrastanti e poco controllabili, come ci spiega meglio Raes: “Le particelle del particolato, ad esempio, intercettano la luce, assorbono le radiazioni, con un effetto sul bilancio energetico del pianeta. Una parte dei componenti riflette le radiazioni solari, quindi raffredda l’atmosfera. Un’altra parte, invece, come il black carbon, la surriscalda”.

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Gli inquinanti atmosferici, derivanti da petrolio e gas portano alla formazione di ozono troposferico e particolato (PM) che hanno effetti sulla vita degli uomini e degli ecosistemi © Ingimage

 

Fonti fossili e gas refrigeranti, il maggior pericolo per il pianeta

Queste ricerche hanno dato il via, a livello europeo, alle normative più stringenti che hanno interessato i settori con le emissioni più alte di particolato, come le auto diesel e le centrali a carbone. Per questo, ribadisce lo scienziato “dobbiamo eliminare i gas serra e l’inquinamento con un’unica politica: ridurre ai minimi termini l’uso di carbone, petrolio e metano”. Raes mette in luce un’altra contraddizione del nostro tempo. “L’aumento della temperatura ci ha portato alla necessità di raffreddare maggiormente ambienti e cibi”. Ma i gas refrigeranti aumentano la CO2. “Dal 1990 in Europa, sono due i settori in cui sono aumentate le emissioni climalteranti: i trasporti e tutto quello che riguarda il raffreddamento, con l’utilizzo degli HFC, i gas freon o idrofluorocarburi (HFC)”. Questi ultimi, a differenza dei CFC banditi perché causa del cosiddetto buco dell’ozono, in assenza di un’azione globale, potrebbero rappresentare dal 9 al 19 per cento delle emissioni globali di gas serra entro il 2050.

Misurare la propria impronta carbonica

Occorre, quindi, un cambiamento di rotta. Ma cosa possiamo davvero fare? “Ogni livello di azione, singola o collettiva, contro il surriscaldamento è fondamentale. Ma deve partire da una certezza. L’Accordo di Parigi sul clima firmato nel 2015 è stato un patto basato sulla scienza. Dietro le negoziazioni di politici ed esperti c’è stato il lavoro di migliaia di scienziati che hanno dimostrato che i cambiamenti climatici ci sono e sono una minaccia per l’umanità. E che abbiamo tempo solo fino al 2050 per rimanere sotto la soglia di 1,5 gradi centigradi. Chi nega queste evidenze scientifiche o è in malafede, o non vive su questo pianeta”, sottolinea Raes.

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“Singolarmente possiamo controllare la nostra impronta carbonica, calcolata sui consumi e stili di vita quotidiani. Dai nostri calcoli sappiamo che per rimanere sotto i 2 gradi non possiamo emettere più di 100 tonnellate di CO2 a testa da qui al 2050. Io lo faccio puntualmente, usando un’applicazione gratuita preparata dalla Foundation Myclimate”. In pratica stiamo già esaurendo il nostro patrimonio di CO2 e, se continuiamo di questo passo, non ce la faremo a non far salire la temperatura del pianeta perché attualmente abbiamo una media di 10 tonnellate di emissioni pro capite all’anno.

Dai trasporti al cibo: come investire per il futuro del pianeta e dei nostri figli

Ecco, quindi, come ogni scelta quotidiana diventa importante e deve essere ponderata. “Sono anch’io un padre di famiglia. Al momento della necessità di avere una nuova auto abbiamo comunque deciso di mantenere una sola autovettura, con motore ibrido”. Privilegiando, il più possibile, l’uso dei mezzi pubblici negli spostamenti. “Nella ristrutturazione della mia abitazione abbiamo installato il riscaldamento a pompa di calore, con diffusione a pavimento. Acquisto energia da un gestore che la garantisce pulita e rinnovabile. Con questi accorgimenti ho dimezzato la mia impronta carbonica in cinque anni. E ora so che un terzo delle mie emissioni sono prodotte dalla mia auto, un terzo dalla mia casa e un terzo dagli altri consumi. Il cibo incide almeno per il 10 per cento”. Azioni da cittadino consapevole che richiedono investimenti economici, non sempre alla portata di tutte le famiglie, però. “È vero, e questo avviene mentre oggi ci sono ancora riduzioni e sgravi fiscali per coloro che inquinano. Governi e regioni devono sostenere chi non inquina, così come era stato fatto, anche in Italia, per esempio, con il conto energia”. Anche per questo, sostiene Frank Raes, è urgente che ogni stato virtuoso riveda la propria infrastruttura dei trasporti ed energetica.

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Nei prossimi obiettivi chiave per il 2030, la Ue ha previsto una riduzione almeno del 40 per cento delle emissioni di gas a effetto serra © Ingimage

Europa virtuosa nella riduzione di CO2, ma servono impegni concreti globali

E a chi è ancora scettico, lo scienziato ricorda che è possibile mantenere gli impegni presi. “L’Europa ha la sua politica climatica indipendente dalla conferenza delle parti. Quando nel 2008 il Parlamento europeo sottoscrisse l’accordo che prevedeva la riduzioni delle emissioni di CO2 del 20 per cento entro il 2020, sembrava che fosse impossibile da realizzare. Eppure, già oggi, abbiamo diminuito le nostre emissioni del 24 per cento”. Nei prossimi obiettivi chiave per il 2030, la Ue ha previsto una riduzione almeno del 40 per cento delle emissioni di gas a effetto serra, rispetto ai livelli del 1990. Una quota almeno del 32 per cento di energia rinnovabile e un miglioramento almeno del 32,5 per cento dell’efficienza energetica.

“C’è chi commenta che sarà difficile, ma lo si diceva anche nel 2008, eppure ce l’abbiamo fatta”. Diverso lo scenario globale, invece, alla vigilia della Cop 25. Frank Raes sottolinea come, a suo avviso sarà, in realtà, la Cop successiva, che si terrà nel Regno Unito, quella decisiva. “Nel 2020, a cinque anni dall’Accordo sul clima di Parigi, gli stati dovranno denunciare di quanto effettivamente hanno ridotto le loro emissioni di anidride carbonica. E quanto hanno raccolto, davvero, per aiutare i paesi in via di sviluppo a contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici. Siamo ben lontani dai 100 miliardi di dollari all’anno previsti. Intanto, però, non basta parlare di numeri. Dobbiamo fare cultura, assimilare il cambiamento in atto, farlo nostro, ogni giorno e sollecitare la politica alle proprie responsabilità, conclude Frank Raes. “I giovani vogliono cambiare tutto, subito, hanno ragione. Anche se ci vuole tempo, ci sono dei passi che gli adulti devono compiere e che non possono rimanere promesse”.

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