I paesi del G20 finanziano i combustibili fossili con 77 miliardi di dollari l’anno

I governi del G20, Italia compresa, con politiche miopi continuano a spendere soldi a favore dell’industria dei combustibili fossili invece che in rinnovabili.

Dal 2015 – anno in cui è stato raggiunto l’Accordo di Parigi sul clima – almeno 77 miliardi di dollari sono stati versati ogni anno dai governi dei Paesi del G20 in progetti legati al petrolio, al gas e al carbone. È questo quanto ha messo in luce un nuovo rapporto pubblicato da Friends of the Earth USA e Oil Change International che fa il punto sui trasferimenti di soldi pubblici che i governi hanno continuato a fornire a un settore ormai decotto. Una via che non convince né dal punto di vista economico viste le difficoltà che registrano gli stessi bilanci delle società legate ai combustibili fossili né da quello sociale e ambientale viste le criticità che l’utilizzo di tecnologie obsolete e altamente inquinanti porta nella vita di tutti i giorni, non ultima l’esperienza Covid.

I finanziamenti pubblici dei paesi del G20 e delle organizzazioni bancarie internazionali (MDB) per combustibili fossili, energia pulita e altre fonti di energia tra 2013 e 2015 e tra 2016 e 2018 © Oil Change International

3 a 1 il rapporto tra investimenti fossili e rinnovabili

Più di 300 sono i miliardi in 4 anni spesi per tecnologie obsolete e inquinanti che si sarebbero potuti destinare alle fonti di energia rinnovabile e pulita. Una cifra monstre se si pensa che si tratta di un importo ben tre volte più alto di quanto gli stessi governi hanno investito nel medesimo periodo per l’energia pulita. Ora, nella crisi economica mondiale innescata dal Covid 19, il rischio è che i lobbisti delle società di combustibili fossili usino le difficoltà che tutti i paesi stanno attraversando come copertura per convincere i governi a spendere ancora di più e garantirsi ulteriori risorse di cui hanno bisogno per sopravvivere con la scusa di tutelare imprese e lavoro. Il rapporto mette in luce quanto oggi potrebbe essere ancora più importante investire in una rivoluzione energetica pulita e in un futuro resiliente, giusto e sostenibile.

 

I primi 12 paesi del G20 che erogano le maggiori quote di finanziamenti pubblici a favore di progetti legati ai combustibili fossili. Media annua; periodo 2016-2018; valori in miliardi di dollari © Oil Change International

La maglia nera del G20

Cina, Giappone, Canada e Corea del Sud – con Italia al sesto posto – sono i paesi che spendono maggiormente i soldi dei contribuenti per petrolio, gas e carbone: insieme rappresentano oltre i due terzi della spesa complessiva dei paesi del G20. Al contrario, la Banca europea per gli investimenti e il World Bank Group si sono dimostrati ampiamente a favore dei progetti legati all’energia pulita investendo rispettivamente 4,7 e 3,5 miliardi di dollari l’anno. In Europa, il paese che più ha investito nel settore rinnovabile è la Germania: 3,1 miliardi di dollari l’anno hanno sostenuto progetti di energia pulita con un incremento di circa il 25 percento tra 2013 e 2015.

Se si classificano i paesi per il finanziamento dei combustibili fossili rispetto alle dimensioni della loro popolazione, Canada, Corea, Giappone, Italia e Arabia Saudita risultano i più grandi fornitori di finanziamenti pubblici per i combustibili fossili. Il nostro paese non ne esce bene nemmeno quando si confronta il rapporto tra finanziamento alle fonti fossili rispetto alle rinnovabili, anche in questa classifica guadagnano un triste sesto posto dopo Cina, Canada, Giappone, Korea e Russia.

Dal Covid 19 l’opportunità di cambiare strategia

L’esperienza del Covid ci ha messo di fronte all’impossibilità di rimandare ulteriormente la transizione verde e alla necessità di aver cura del Pianeta limitando il riscaldamento climatico a 1,5°C. È evidente quanto tutto questo sia contrario a continuare a investire soldi pubblici nella produzione e nell’utilizzo dei combustibili fossili. L’opzione dovrebbe essere invece quella di investire in società più eque e a zero emissioni. È questo l’invito che emerge dalle pagine del rapporto: far sì che i governi mettano in campo tutte le misure possibili per salvaguardare lavoratori e comunità accompagnandoli nella rivoluzione verde, anziché favorire banche e società inquinanti, legate a posizioni e tecnologie del secolo scorso.

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