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Stefano Mancuso, neurobiologo italiano, ha dimostrato che le piante sono intelligenti. Nel suo ultimo libro si spinge persino oltre: macché animali, il futuro appartiene al mondo vegetale.
“Spesso mi diverto a proiettare una serie di slide e chiedere ai miei studenti che cosa vedono. Guardando le prime, mi rispondono: ‘Una scimmia’, ‘un tucano’, ‘uno scoiattolo’. Quando arriva l’ultima dicono: ‘Niente’. Eppure qualcosa c’è, le piante”.
Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale, esordisce con questo racconto alla presentazione del suo ultimo libro, Plant revolution, che si è tenuta il 12 giugno a Milano presso Nctm studio legale. Lui, alle piante, ha dedicato l’intera vita. Come mai? “Perché senza di loro non avremmo l’ossigeno che stiamo respirando ora. Né avremmo mangiato oggi”.
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Già da tempo il neurobiologo italiano sostiene che le piante siano intelligenti e lo ribadisce ancora una volta, sottolineando che “non esiste un solo essere vivente che non lo sia”. Nell’ultimo saggio aggiunge ulteriori tasselli: ci svela che le piante non dimenticano. La sensitiva (Mimosa pudica) chiude le foglioline quando si sente minacciata. Se viene ripetutamente sottoposta allo stesso stimolo, però, ad un certo punto capisce che non c’è nulla da temere e non lo fa più. A distanza di un mese, sottoponendola di nuovo a quello stimolo, non chiuderà le foglie. Quindi è in grado di ricordare. Mancuso, inoltre, è convinto che le piante possano vedere: questo spiegherebbe perché la boquilla (Boquilla trifoliata) riesca a mimetizzarsi imitando colore, forma e dimensioni delle foglie della pianta più vicina, proprio come farebbe un camaleonte.
Molte erbe infestanti imitano le caratteristiche delle colture per non soccombere: si parla in questo caso di mimetismo vaviloviano dal nome del genetista che l’ha scoperto, Nikolaj Vavilov. È stato lui a capire l’importanza di conservare le sementi di tutto il mondo, oggi custodite nello Svalbard global seed vault, un deposito incastonato tra i ghiacci delle omonime isole norvegesi.
Con l’introduzione di specie geneticamente modificate (ogm) per resistere agli erbicidi, l’utilizzo del più diffuso glifosato – sintetizzato dalla Monsanto fino al 2001 ed ora di proprietà della Bayer – è aumentato a dismisura, favorendo la diffusione di casi di resistenza anche tra le “infestanti mimetiche”. Per questo Mancuso sostiene che “sarebbe bene ricordarsi che i danni provocati all’ambiente mentre tentiamo di fermarle sono di gran lunga maggiori di quelli che loro potrebbero mai arrecare alle nostre coltivazioni. Sempre ammesso che questi ultimi esistano”…
Se gli animali, di fronte ai problemi, scelgono la fuga, le piante non possono farlo. Devono affrontare le situazioni critiche con le risorse che hanno a disposizione. “L’uomo è presuntuoso”, ma in termini di biomassa è irrilevante. E poi “in biologia quello che conta è perpetuare la specie. Al momento, alcuni modi per estinguerci li stiamo mettendo tranquillamente in atto, continuando per esempio ad aumentare le quantità di CO2 nell’atmosfera – strategia che una mucca non userebbe mai per uccidersi”, scherza (ma non troppo) il professore.
Insomma, le piante sono in grado di fare molto di più di quello che pensiamo. E qualunque cosa, la fanno con tutto il corpo: per questo se ne può rimuovere fino al 90 per cento senza ucciderle. Un modello gerarchico come quello animale, al contrario, “è debole: basta rimuovere il capo o qualunque organo fondamentale perché l’intero modello crolli”. Oltre che fragile, Mancuso ritiene che nelle società civili un modello simile sia estremamente pericoloso.
Cita il saggio La banalità del male in cui l’autrice – Hannah Arendt – racconta il processo ad Adolf Eichmann, considerato uno dei maggiori responsabili operativi dello sterminio degli ebrei nella Germania nazista. Era un banale burocrate, che si è difeso dicendo: “Io ho obbedito agli ordini, ho fatto quello che chiunque deve fare all’interno di un’organizzazione gerarchica: cercare di portare a termine l’ordine che gli è stato dato”. Ecco perché, secondo Mancuso, “la Shoah è frutto dell’organizzazione di tipo animale”.
Al contrario, la pianta è una rete dove tutte le funzioni sono distribuite senza che ci sia un centro di comando. Se ci pensiamo, internet funziona così. Ed è così che dovrebbe essere il nostro futuro, se vogliamo che sia migliore. “L’anidride carbonica continua ad aumentare, paradossalmente soprattutto dopo gli accordi che i paesi stipulano per ridurla”, fa notare Stefano Mancuso al termine della sua affascinante lezione a pochi passi dal Duomo di Milano. “Ciò che serve è una risposta di rete, ognuno di noi deve limitare la produzione di anidride carbonica”.
Significa che le nostre scelte sono importanti, i gesti che compiamo quotidianamente non sono inutili. Solo accettando il fatto che ognuno di noi ha la responsabilità, ma soprattutto l’opportunità, di salvare questo pianeta riusciremo a sopravvivere: le piante sono sulla Terra da 510 milioni di anni, non è una cattiva idea imparare da loro a vivere in armonia, all’interno di una società come la loro dove tutti fanno la propria parte.
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