Il primo dicembre è tornata la guerra a Gaza, dopo sette giorni di cessate il fuoco e scambio di prigionieri.
Nelle prime 24 ore gli attacchi israeliani hanno ucciso almeno 270 persone e ferite oltre 500.
L’offensiva israeliana si concentra a sud, dove è ammassata tutta la popolazione palestinese già sgomberata dal nord.
È ricominciata la guerra a Gaza, dopo una settimana di cessate il fuoco e scambi di prigionieri. Nella giornata dell’1 dicembre Israele e l’organizzazione radicale palestinese Hamas si sono scambiati accuse sulla violazione delle condizioni di tregua e il conflitto è ripreso. Dalla Striscia di Gaza sono partiti razzi sul territorio israeliano, intercettati dal sistema di difesa Iron Dome, mentre Israele ha ripreso i suoi pesanti bombardamenti su Gaza, che dal 7 ottobre hanno già causato oltre 15mila morti, di cui un terzo bambini.
Dopo aver fatto evacuare il nord della Striscia, oggi ridotta praticamente in macerie, ora l’offensiva israeliana punta sul sud, dove si è raccolta la totalità della popolazione palestinese. Che ora non ha più dove scappare.
La fine del cessate il fuoco
Il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza era cominciato il 24 novembre. Dopo oltre un mese e mezzo di bombardamenti israeliani sul territorio, con un bilancio drammatico di oltre 15mila morti, di cui un terzo bambini, 61 giornalisti e oltre 100 dipendenti dell’Onu, Israele e Hamas erano riusciti a trovare un accordo per interrompere le ostilità.
Hamas nei giorni scorsi ha liberato104 degli ostaggi che tiene in pugno dal 7 ottobre, giorno del suo attacco in territorio israeliano che ha causato circa 1.200 morti. Israele ha a sua volta liberato 240 prigionieri politici palestinesi, pescando tra le donne e i bambini, reclusi generalmente senza accuse formali e aver subito un processo – la cosiddetta detenzione amministrativa. La tregua doveva durare cinque giorni, ma poi con negoziazioni serrate si è arrivati a un prolungamento di altri giorni, durante i quali a Gaza sono entrati anche centinaia di camion umanitari che hanno in parte dato una boccata d’ossigeno a un territorio che da quasi due mesi si trova sotto l’assedio totale israeliano. Ma l’equilibrio a un certo punto si è rotto.
In 7 days of ceasefire, Israel released 240 Palestinians, and detained 260 Palestinians! pic.twitter.com/TsvzhpALxU
Israele ha accusato Hamas di aver violato i termini del cessate il fuoco, compiendo attacchi contro il territorio israeliano e non avendo liberato tutte le donne in ostaggio su cui era stato trovato l’accordo. Da Gaza hanno invece sottolineato che a violare gli accordi sono state le truppe israeliane, che tra il 29 e il 30 novembre hanno aperto più volte il fuoco a Gaza, uccidendo anche due palestinesi – una versione confermata dall’Onu. Questo scambio di accuse e di fuoco militare ha fatto così finire il cessate il fuoco. Hamas il primo dicembre ha lanciato razzi verso il territorio israeliano, mentre Israele ha ripreso i pesanti bombardamenti su Gaza, colpendo oltre 200 obiettivi. Nel giro di sole 24 ore sono stati uccisi almeno 170 palestinesi e i feriti sono oltre 500, secondo il ministero della Salute di Gaza.
L’offensiva si sposta a Gaza sud
In questi primi quasi due mesi di attacchi sulla Striscia di Gaza, l’azione israeliana si è concentrata sul nord. L’area è stata di fatto evacuata dalla sua popolazione, che si è spostata verso sud, al confine con l’Egitto. Qui oggi sono ammassate circa due milioni di persone mentre oggi il nord della Striscia è una via di mezzo tra un cumulo di macerie e un’area fantasma.
Ora però, con la fine del cessate il fuoco, sembra possa aprirsi un nuovo versante dell’offensiva israeliana, stavolta proprio a sud. Nelle scorse ore a Khan Yunis, la principale città meridionale, sono piovutivolantini israeliani in cui si avvisa la popolazione di spostarsi ancora più a sud, verso Rafah, per mettersi in salvo dai bombardamenti. In realtà nelle stesse ore Israele ha bombardato sia Khan Yunis che Rafah, a dimostrazione che non esistono posti sicuri nella Striscia di Gaza e che gli avvisi di evacuazione spesso non danno nemmeno il tempo di evacuare. Ma il vero problema è che un’ulteriore evacuazione verso sud per i due milioni di palestinesi non è più possibile, perché la Striscia di Gaza è finita e si trovano ormai già al confine con l’Egitto.
Israele ritiene che nel sud della Striscia abbiano trovato rifugio alcuni leader di Hamas, in particolare Yahya Sinwar, Mohammed Deif e Marwan Issa. L’offensiva su quella porzione di territorio si spiega in questo modo, dal momento che il premier Benjamin Netanyahu nelle scorse ore ha ribadito che l’obiettivo rimane “l’eliminazione di Hamas”. Ma il costo civile dei bombardamenti in un’area a così alta concentrazione di sfollati e che vive una crisi umanitaria estrema rischia di essere molto peggiore di quello delle scorse settimane.
Israele ha diffuso una mappa con codice QR in cui la Striscia di Gaza è stata divisa in decine di distretti: l’obiettivo è dare ordini di evacuazione in arabo alla popolazione palestinese da un distretto all’altro a seconda degli obiettivi dei suoi bombardamenti. Uno scacchiere in continuo movimento che non tiene conto di una cosa: spostare due milioni di persone come pedine in un territorio dove le infrastrutture sono al collasso e l’accesso a internet è limitato a causa della stessa offensiva israeliana è un’utopia.
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