Diritti animali

Green Hill bis, la Cassazione annulla la sentenza per un veterinario e tre dipendenti

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza per un veterinario e tre dipendenti coinvolti nel processo di Green Hill bis.

Si torna a parlare di Green Hill, la struttura in provincia di Montichiari dove fino al 2012 venivano allevati cani di razza beagle destinati alla vivisezione. Dopo anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza della Corte di appello di Brescia nei confronti di un veterinario della Asl, Roberto Silini, accusato di falso ideologico, e di tre ex dipendenti, Cinzia Vitiello, Antonio Tabarelli e Antonio Tortelli, accusati invece di falsa testimonianza. La Cassazione ha chiesto un rinvio a una nuova sezione della Corte di appello di Brescia con lo scopo di revisionare i fatti e fornire una nuova valutazione degli stessi, ma gli imputati non potranno più essere indagati per uccisione e maltrattamento di animali, in quanto reati ormai caduti in prescrizione.

Il processo Green Hill bis e la sentenza della Cassazione

Green Hill bis, questo il nome del processo cominciato parallelamente a quello che aveva portato alla chiusura dell’allevamento e alla condanna – in due gradi di giudizio – dei vertici della struttura per maltrattamenti e uccisioni di animali, ha visto coinvolti due veterinari Asl e tre dipendenti della società per concorso in maltrattamenti, uccisioni, omessa denuncia, falso ideologico e falsa testimonianza.

I quattro imputati erano già stati assolti in primo grado, nel febbraio 2018, ma l’anno successivo, la Corte d’appello di Brescia aveva ribaltato questa sentenza ritenendo uno dei due veterinari pubblici colpevole di concorso in maltrattamenti di animali, uccisione, omessa denuncia e falso in atto pubblico e i tre ex dipendenti colpevoli di falsa testimonianza. Ora la sentenza della Cassazione annulla questa condanna e rinvia nuovamente la decisione alla Corte di appello di Brescia che potrà però solo giudicare i reati meno gravi, quelli di falso e falsa testimonianza.

Quella della Cassazione è “una sentenza deludente”

“Quella di oggi è una sentenza deludente che conferma come dietro a chi lavora e lucra sulla vita degli animali ci sia un muro di gomma e non si non vuole far conoscere ciò che accade nei laboratori”, ha dichiarato la Lav, la Lega antivivisezione.

Secondo l’associazione si tratterebbe di “un’occasione mancata per fare luce sulle lacune nei controlli, pagati con denaro pubblico, per accertare il rispetto del benessere animale in una vicenda che ha già accertato gravi responsabilità penali a carico dei vertici di Green Hill. Tutelare e garantire lo stato di salute degli animali è un obbligo morale e giuridico di chiunque lavori con loro, sebbene ancora purtroppo destinati a morte nei laboratori: lo abbiamo sottolineato più volte e chiediamo almeno il rispetto della legge”.

La chiusura di Green Hill rimane una vittoria

Questa sentenza della Cassazione, per quanto ambigua, non deve però oscurare quella che rimane una delle vittorie più importanti per i diritti degli animali in Italia. Per ricordare quanto successo bisogna tornare al 2012, quando attivisti e organizzazioni cominciano a contestare le irregolarità di Green Hill, dove si sospettava che i cani venissero soppressi senza validi motivi. Un giorno, dopo mesi di proteste rimaste inascoltate, un gruppo di manifestanti fa irruzione nell’allevamento, liberando quasi settanta cani dalle gabbie. Li passano attraverso il filo spinato che circonda la struttura, in un susseguirsi di attimi che rimangono impressi sempre nelle menti di chi, quasi incredulo, guarda quelle immagini in televisione.

Beagle liberato dal lager di Green Hill dagli attivisti
Beagle liberato dal lager di Green Hill dagli attivisti © Filippo Venezia

Il loro è un gesto tanto eroico quanto illegale per la legge: in un primo momento, infatti, vengono processati per furto, violazione di domicilio, danneggiamento e rapina, ma proprio durante il processo, la difesa ottiene il permesso di visitare la struttura, per verificare i presunti danni causati dagli imputati. Ed è lì che le cose cambiano. Una volta entrati nell’allevamento, i maltrattamenti subiti dai cani e le uccisioni illegali diventano innegabili.

Da qui inizia un lungo processo che porta alla condanna in secondo grado del medico veterinario Renzo Graziosi, del co-gestore Ghislane Rondot e del direttore Roberto Bravi. Il 18 luglio 2012 Green Hill chiude definitivamente e dopo otto anni, il 5 marzo 2020, anche gli attivisti che per primi entrarono nella struttura, vengono assolti. Senza il loro coraggio, l’Italia non avrebbe mai avuto il Decreto legislativo 26/2014 che vieta l’allevamento di cani, gatti e primati destinati alla vivisezione. Questo significa, che se non ci fosse stato quel decreto, forse oggi avremmo altri Green Hill.

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