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“La porti una trivella a Firenze”. Un pozzo petrolifero in piazzale Michelangelo
Gli attivisti di Greenpeace questa mattina hanno installato una trivella a Firenze, in piazzale Michelangelo, simulando le attività di perforazione di un pozzo petrolifero: un vero e proprio cantiere, con una struttura di perforazione alta sette metri, gestito da un’immaginaria compagnia, la Trivella Italia S.p.a., che ha recintato l’area delle operazioni con i suoi cartelloni:
Gli attivisti di Greenpeace questa mattina hanno installato una trivella a Firenze, in piazzale Michelangelo, simulando le attività di perforazione di un pozzo petrolifero: un vero e proprio cantiere, con una struttura di perforazione alta sette metri, gestito da un’immaginaria compagnia, la Trivella Italia S.p.a., che ha recintato l’area delle operazioni con i suoi cartelloni: “Trivella Italia s.p.a, il tuo Paese, il nostro profitto” e l’avviso: “Stiamo trivellando la tua città, ci scusiamo per il disagio, per reclami contattare Matteo Renzi”.
L’azione dimostrativa ha preso di mira la città di cui Renzi è stato sindaco, per protestare contro il suo invito all’astensione al referendum del 17 aprile, definito da Greenpeace “un vero oltraggio alla democrazia oltre che una forma di codardia politica”. Il responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace, Andrea Boraschi, riassume il senso dell’azione dimostrativa in una domanda: “Perché una semplice simulazione di una trivella in una piazza storica del nostro paese appare assurda e colossi che sono cento volte più grandi nei nostri mari non dovrebbero apparire come uno sfregio insopportabile?”.
Secondo l’organizzazione ambientalista: “Le piattaforme oggetto del referendum producono solo il 2-3 per cento del gas consumato ogni anno in Italia, e lo 0,8 per cento del petrolio. Sono 88 impianti: 35 di questi non erogano più nulla, sono fermi; tre su quattro quattro non producono, o producono così poco da non dover versare neppure un centesimo di royalties nelle casse pubbliche. Votando sì al referendum queste piattaforme non verranno dismesse subito, ma nel giro di circa 10 anni, consentendo di tutelare la pur esigua occupazione legata al loro funzionamento, senza determinare alcun deficit energetico, né un aumento delle importazioni di fonti fossili”.
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