La guerra non ferma il business. Shell continua a comprare petrolio russo

La compagnia anglo-olandese Shell continua ad acquistare petrolio dalla Russia. Una decisione controversa e criticata aspramente.

Aggiornamento 9 marzo – Il colosso anglo-olandese Shell ha fatto marcia indietro e annunciato la chiusura di tutte le pompe di rifornimento in Russia, nonché lo stop all’acquisto sul mercato di petrolio di origine russa. La decisione è stata resa nota nella giornata di martedì, dopo la pioggia di critiche giunta sulla compagnia. In un comunicato, Shell ha precisato che il ritiro complessivo dal petrolio e dal gas prodotto dalla nazione guidata da Putin sarà tuttavia “graduale”. Il direttore generale Ben van Beurden ha sottolineato come, a suo avviso, si sia di fronte ad un “dilemma, tra la necessità di mettere pressione al governo di Mosca per le atrocità commesse in Ucraina e quella di garantire un approvvigionamento stabile e sicuro di energia attraverso l’Europa”.


La guerra in Ucraina non ferma i business. Il 4 marzo la compagnia petrolifera anglo-olandese Shell ha finalizzato l’acquisto a prezzi ribassati un carico di petrolio “Ural”, “svenduto” dalla Russia per via delle sanzioni economiche imposte dai governi occidentali contro Vladimir Putin. Le misure restrittive, infatti, per ora non hanno vietato l’acquisto di greggio e gas russo, per timore di un’impennata dei prezzi. Ma non è detto che ciò possa avvenire in un prossimo futuro.

“Non sentite l’odore del sangue ucraino nel petrolio russo?”

Una decisione controversa, dunque, quella di Shell. Che ha suscitato immediatamente la reazione del ministro degli Esteri di Kiev, Dmytro Kuleba: “Mi è stato riferito che Shell abbia discretamente acquistato del petrolio russo ieri. Pongo loro la domanda: non sentite l’odore del sangue ucraino in quel petrolio?”. Il responsabile della diplomazia ucraina ha quindi lanciato un appello “a tutte le persone dotate di coscienza nel mondo affinché chiedano alle multinazionali di tagliare ogni tipo di rapporto commerciale con la Russia”.

Da parte sua, nella stessa giornata del 4 marzo la stessa compagnia petrolifera ha, da un lato, confermato la decisione di “uscire dalle joint venture con Gazprom”. Ma ha precisato la volontà di “continuare a garantire un approvvigionamento sicuro per i nostri clienti. Abbiamo anche bloccato numerose attività legate al petrolio russo. In ogni caso, stiamo acquistarono assieme ad altri prodotti russi di raffinerie e strutture chimiche al fine di assicurare ogni giorno la produzione essenziale per cittadini e imprese”.

Il business di Shell continua a prevalere sull’etica

Una scelta a dir poco contraddittoria, che conferma la preminenza delle logiche di business anche rispetto a quelle etiche e umanitarie. Il prezzo era d’altra parte particolarmente allettante: 28,5 dollari al barile in meno rispetto al valore del Brent.

Un mega-progetto di Shell in Sudafrica è stato bloccato da un tribunale
La compagnia Shell ha fatto sapere che continuerà ad acquistare combustibili fossili dalla Russia © Jeff J Mitchell/Getty Images

La notizia, inoltre, insegna due cose: la prima è che la Russia si trova costretta a praticare corposi sconti per cedere il proprio petrolio. La seconda è che, in ogni caso, la nazione euro-asiatica continua a trovare acquirenti sul mercato. Anche facilmente. Nel frattempo il colosso petrolifero Rosneft sta tentando di completare una gigantesca vendita di greggio. Ben 83 milioni di barili di Ural tra i prossimi mesi di aprile e di ottobre.

Rosneft prepara l’immissione sul mercato di 83 milioni di barili

Secondo quanto riportato dall’agenzia Ansa, “gli Stati Uniti (primo produttore al mondo di petrolio, seguito da Arabia Saudita e Russia) stanno ragionando su un possibile bando all’importazione di prodotti energetici russi, con il Congresso in pressing su Joe Biden e la Casa Bianca che finora ha resistito”. Un’ipotesi caldeggiata dal presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky. Al contrario, per la Russia una simile decisione “distorcerebbe significativamente il mercato globale dell’energia” e produrrebbe conseguenze gravi.

La partita delle sanzioni, insomma, appare solo all’inizio. E senza una “stretta” ancor più dura sulle esportazioni di fonti fossili russe, i colossi occidentali dimostrano di non voler rinunciare ai loro affari.

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